Finita la liturgia, nessuno esce dalla cattedrale. Rivolti verso l’altare, i fedeli intonano la “Molytva za Ukrayinu”, “Preghiera per l’Ucraina”, un inno patriottico e spirituale ucraino.
Silenzio. Anche i bambini sono silenziosi. Nelle sale d’attesa si aspetta il treno. Al caldo visto che fuori c’è la neve e le temperature sono scese sotto lo zero. Nessuno ride. Nessuno parla ad alta voce.
“Bombardamenti continui, pannelli solari distrutti, contenitori di acqua sui tetti inutilizzabili, la mancanza di cibo e ora anche la pioggia che sta allagando alcuni ambienti dove gli sfollati abitualmente passano la notte”.
“Fermo restando che ogni persona che si trova in una situazione di sofferenza merita prossimità e conforto - sanitario, assistenziale, morale, affettivo, psicologico, spirituale -, il caso della signora ‘Anna’ di Trieste impone una riflessione soprattutto sull’avallo che il Servizio sanitario nazionale (Ssn) ha dato in toto alla sua richiesta di morte”.
In questo tempo recente, macchiato dal sangue ancora caldo delle ultime donne brutalmente accoltellate dai propri compagni, mi chiedo se si può risalire - ove fosse possibile - a un’origine storica non soltanto del fenomeno, ma alla/e causa/e che lo hanno fatto scaturire.
Lo ripetiamo con la convinzione certa che non esista una classifica della sofferenza, il dolore della morte e della violenza non sono più o meno forti a seconda del riscontro mediatico. Ma ciò a cui abbiamo partecipato in questi giorni con la morte di Giulia Cecchettin è stato un vero atto terroristico al cuore della nostra civiltà.