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 “Le nostre debolezze non vi scoraggino, le fragilità e i peccati non siano ostacolo alla vostra fiducia. La Chiesa vi è madre, non vi abbandona”. È uno dei passi centrali della lettera indirizzata dai padri sinodali ai giovani, letta nella basilica di San Pietro, al termine della Messa di chiusura del Sinodo, prima della benedizione solenne impartita dal Papa.

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“Questo Sinodo certamente ci ha dato un segnale: con i giovani dobbiamo camminare. I giovani hanno bisogno di sentire da noi che prospettiamo qualcosa in cui crediamo insieme. E i giovani ci fanno sentire quelle che sono le loro esigenze, le loro speranze, i loro sogni. E noi siamo chiamati insieme con loro a poterli realizzare, perché questa è la nostra storia”.

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Papa Francesco, oggi noi giovani siamo sempre esposti a modelli di vita che esprimono una visione usa e getta, quella che lei chiama ‘la cultura dello scarto’. Mi sembra che la società, oggi, ci spinga a vivere una forma di individualismo, che poi finisce sempre nella competizione".

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Al Sinodo, i circoli minori sono finiti e prossimamente rivedremo tutti insieme quello che sarà il documento finale. Ci sono stati tanti interrogativi, molti ascolti profondi; infatti, il Papa ha chiesto espressamente che dopo alcune relazioni venisse mantenuto il silenzio per almeno tre minuti in sala; il tempo necessario perché ciascuno potesse interiorizzare quel grido da tempo non sentito o non ascoltato.

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Con i giovani, bisogna essere “umili e coraggiosi”. Altrimenti, il Sinodo che la Chiesa universale, per volere di Papa Francesco, ha scelto di dedicare loro rischia di tradursi in “un lungo elenco senza priorità”.

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Tra riflessioni, condivisioni e preghiera, voglio cercare di fermarmi quest’oggi su un grido particolare che tanti ragazzi, incontrati nelle diverse evangelizzazioni, esprimono, a modo loro, tante volte: “L’indifferenza uccide!”.

Queste sono state anche le parole che Papa Francesco ha rivolto a tutti noi nell’udienza del mercoledì. Riprendendo il commento al quinto comandamento: Non uccidere, il Santo Padre ci ha fatto notare con forza come Gesù metta sullo stesso piano la morte fisica con quella causata dal disprezzo, dall’insulto, dall’odio, dal passare oltre.

“Per offendere l’innocenza di un bambino basta una frase inopportuna. Per ferire una donna può bastare un gesto di freddezza. Per spezzare il cuore di un giovane è sufficiente negargli la fiducia. Per annientare un uomo basta ignorarlo. L’indifferenza uccide.”

“Nonostante la vostra indifferenza noi esistiamo!” sono invece le parole di Angelo, uno dei primi ragazzi incontrati da Chiara Amirante a Stazione Termini all’inizio degli anni ‘90. Vorrei condividere con voi questa storia tratta dall’ultimo libro della fondatrice, “Il Grido Inascoltato”, perché lì ho trovato la via per uscire dalle mie morti interiori e da quelle di tanti giovani che in questi anni ho incontrato.

L’incontro con Angelo, il primo ragazzo che ho conosciuto andando di notte in strada, ha segnato per me una tappa fondamentale. Rispondendo a un mio semplice: “Come stai?” (l’avevo visto steso a terra collassato), mi aveva raccontato, come se ci conoscessimo da sempre, la sua drammatica storia di strada, carcere, droghe, alcool, violenze di ogni tipo e io avevo provato a lasciarmi raggiungere in profondità dal suo grido.
Avevo provato un dolore profondissimo nello scoprire che sebbene fossi a Roma, cuore della cristianità […] non c’era un posto dove accoglierlo. Stentavo a crederci: dopo venti secoli di cristianesimo, oggi come allora, a Roma, nel cuore della cristianità, non c’era posto per accogliere Gesù. […]
È stato grande il mio dolore quella sera nel non trovare un posto che accogliesse Angelo. Ancora più grande è stato poi il mio stupore nel sentire le sue parole quando, due sere dopo, l’ho incontrato nuovamente in strada. Mi ha mostrato un murales in cui c’era scritto: “Nonostante la vostra indifferenza noi esistiamo”, e ha aggiunto: “Grazie Chiara: tu mi hai salvato la vita!”. “Ma come? – ho risposto molto sorpresa – non sono riuscita neanche a trovarti un posto dove andare a dormire!”. “Vedi Chiara – ha replicato lui – quando ti sei fermata per ascoltarmi mi ero appena ripreso da una overdose con cui avevo sperato di uccidermi. Era già il mio terzo tentativo. Prima di tentare il suicidio avevo scritto il mio grido in questo murales. Poi sei arrivata tu e ti sei fermata ad ascoltarmi per più di un’ora. Allora mi sono detto: ‘Se esiste anche solo una persona sulla terra disposta a spendere un’ora del suo tempo per ascoltare uno come me (in venti anni di strada non mi era ancora successo) allora vale la pena vivere!’. E poi quella gioia che ho visto nel tuo sguardo… Ora so che esiste! La voglio anche io. Voglio conoscere questo Gesù che te l’ha donata e ti ha portato a rischiare la vita per noi!”.

Un semplice ascolto, il non passare oltre quando ti trovi davanti ad un fratello che sta soffrendo nel corpo o nello spirito, può realmente cambiare l’orizzonte a te e a coloro che si sentiranno visti!

Questo è il grido che vorrei portare al Sinodo: c’è tanta, troppa indifferenza; c’è una società che spesso esclude, ci sono persone che non si permettono di vedere, ci sono cristiani che si girano dall’altra parte quando intravedono ferite troppo purulente; c’è una parte di Chiesa che alle volte non si ferma ad ascoltare!

Che fare? Papa Francesco lo ha detto con forza alla fine della sua udienza: “Se uccidere significa distruggere, sopprimere, eliminare qualcuno, allora non uccidere vorrà dire curare, valorizzare, includere. E anche perdonare!”. Noi giovani vogliamo essere visti, curati, valorizzati, inclusi; ma soprattutto amati, lì dove altri “passerebbero oltre”!

 

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