0
0
0
s2sdefault

“Di null’altro mai ci glorieremo se non della croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati”.

 

 

Così recita l’antifona dell’introito della Messa in coena Domini, presieduta da mons. Angelo Raffaele Panzetta, con la quale è solennemente iniziato il Triduo pasquale del Signore crocifisso, morto e risorto presso il monastero benedettino ‘S. Giovanni Evangelista’ di Lecce.

La liturgia eucaristica, nella chiesa del monastero - vero cenacolo - gremita da numerosi fedeli, animata dal canto gregoriano e dalla preghiera della comunità monastica benedettina ha ripresentato per grazia l’Ultima Cena del Signore.

“Tre sono i misteri presentati al nostro sguardo stupito e adorante in questa celebrazione:” - ha detto l’arcivescovo, volto ormai familiare per la comunità monastica, nella sua profonda e intensa omelia - “il dono dell’Eucaristia, il dono del ministero sacerdotale e il dono del comandamento dell’amore che si esprime nel servizio”.

Non sono doni periferici ma decisivi perché “strutturano la vita di ciascuno di noi e della comunità cristiana”. Chiare le parole dell’arcivescovo coadiutore: “L’Eucaristia è dono e memoriale di tutta la vita e della Pasqua del Signore. Quando la celebriamo noi siamo davanti alla croce e alla tomba vuota del Signore perché diventiamo contemporanei di quell’evento di salvezza. Abbiamo così la possibilità di entrare in contatto in modo meraviglioso, come Tommaso, con il dono del Salvatore”.

Nel corso dell’omelia, mons. Panzetta ha esortato se stesso e i presenti a evitare di incorrere in un pericolo, quello dell’abitudine, ripetendo le parole che il venerabile don Tonino Bello proferì allo stesso arcivescovo in occasione del conferimento del ministero del lettorato quando era seminarista a Molfetta, allorché gli consegnò il libro della Sacra Scrittura: “Non fare il callo a questo libro”.

Ha detto il presule: “Dobbiamo sempre avere la consapevolezza di essere avvolti dal fuoco ardente dell’Eucaristia che agisce come medicina che fortifica la nostra fragilità”.

Il secondo mistero è quello dell’amore donato nonostante tutto di cui la lavanda dei piedi di Gesù ai discepoli è segno, sacramento. “Un amore quello di Gesù che nella lavanda dei piedi prefigura la pienezza e la definitività del dono di sé”. Un dono in cui Egli ha perseverato anche nel tradimento indicandoci il modo di rispondere da cristiani al tradimento: “Il Signore tradito dal suo amico e discepolo non risponde con l’odio e la vendetta ma con l’amore”. Ha detto dunque accoratamente all’assemblea: “Fratelli e sorelle, si risponde al tradimento con la fedeltà dell’amore. Soltanto così si dimostra la vera forza che promana dall’Eucaristia che è l’amore fedele al cospetto del tradimento”.

Il terzo mistero ricordato dall’arcivescovo è l’istituzione del sacerdozio ministeriale avvenuta nella Santa Cena. Esso, ha ricordato il vescovo Angelo Raffaele, è segno del servizio “che non svilisce la nostra identità e che deve essere la cifra del ministero e del Battesimo. Proprio nel momento in cui ci poniamo a servizio degli altri in famiglia, nel luogo di lavoro, nella Chiesa, viviamo in pienezza rendendola vera la nostra dignità umana. Ecco perché il Signore, per lavare i piedi ai discepoli dopo essersi tolte le vesti - che sono segno precipuo di dignità in Oriente -, alla fine le ha indossate di nuovo. Lui, il Figlio di Dio, l’Unigenito del Padre, il Cristo”.

Un ultimo invito nell’omelia il presidente dell’assemblea lo ha fatto rivolgendosi così ai fedeli: “Fratelli e sorelle, questi doni meravigliosi del Signore che in questi giorni celebriamo non potremmo celebrarli se non ci fossero stati dati attraverso le mani del sacerdote. Egli, nonostante la sua fragilità e a volte anche indegnità, ha ricevuto il dono dello Spirito che ha consacrato le sue mani le quali stese sul pane e il vino rendono possibile per grazia la presenza del Corpo e del Sangue di Cristo. Pregate per noi perché nonostante la fragilità e a volte lo scandalo che provochiamo possiamo essere come il Signore ci vuole, al servizio del popolo santo di Dio”.

Dopo il rito di comunione, l’arcivescovo, accompagnato dall’inno “Pange lingua” cantato dalle monache benedettine, ha riposto il Santissimo Sacramento all’Altare della Reposizione. L’assemblea si è sciolta in silenzio ed è proseguita l’adorazione che si è svolta nelle ore in cui il Signore ha donato se stesso per tutti.

 

 

Forum Famiglie Puglia

 

Mi curo di te, la sanità nel Salento. Radio Portalecce