La Chiesa e, oserei dire, le Chiese stanno vivendo un momento di grande fragilità e sperimentando la caducità della condizione umana, mentre il vescovo di Roma è sottoposto a cure mediche nella struttura ospedaliera del Policlinico Gemelli.

L’evento del messaggio audio che si è ascoltato in Piazza San Pietro l’altra sera, pronunziato nella sua lingua madre, lo spagnolo, ci ha emozionati e deve farci riflettere: “Ringrazio di cuore per le vostre preghiere per la mia salute dalla piazza - ha detto Francesco - vi accompagno da qui. Che Dio vi benedica e che la Vergine vi custodisca”.
Qualcuno ha commentato: “tutto qui?”. Quando siamo in difficoltà ricorriamo alla lingua materna e siamo portati ad implorare la protezione di colei che ci ha generato. L’impressionante brevità del detto, piuttosto che con la sufficienza di chi lo ha colto come deficiente, va interpretata in quanto segno del limite e foriera di profondità spirituale e teologica. Ed è un monito per quanti nella Chiesa di Dio passano il loro tempo ad elaborare fallaci congetture sia circa lo stato di salute del Papa, sia riguardo al futuro del pontificato. Di fronte alla sofferenza propria e di chi ci è accanto non servono lunghi discorsi o elucubrazioni più o meno teologiche e, se bisogna rompere il silenzio, ciò dovrà accadere nella sobrietà, alla quale, anche in questa occasione, Papa Francesco tenta di educarci (basti pensare al suo continuo puntare il dito sul chiacchiericcio clericale, sempre inopportuno e nocivo, ancor più nella situazione attuale).
Altro segno di fragilità che abbiamo sperimentato e vissuto lo cogliamo nel tono della voce, affaticata, certamente non squillante, ma quasi bisbiglio. E il sussurro mi fa pensare alla finale della più nota delle liriche di Clemente Rebora, il grande poeta esperto di sofferenza anche fisica (= infermità) “Dall’immagine tesa”: “Verrà quasi perdono/di quanto fa morire, verrà a farmi certo/del suo e mio tesoro,/verrà come ristoro/delle mie e sue pene,/verrà, forse già viene/il suo bisbiglio”. La gratitudine espressa con voce roca risulterà ancor più autentica e vera alle orecchie di chi non si aspetta un messaggio urlato, né prolungato, ma semplice e immediato. Abbiamo così appreso e compreso direttamente lo stato di salute del vescovo di Roma.
La fragilità del vescovo è la fragilità del popolo. Qualcuno ha insinuato che col dire “vi accompagno da qui” Francesco abbia quasi abdicato dalla sua funzione di guida della comunità credente. Una guida che si fa accompagnamento non è meno autorevole di quella che procede in testa al gregge. Del resto, questo Papa non si sente fuori del popolo di Dio, ma sa di farne parte così come continua a svolgere la sua missione di guida pastorale. E in questo senso occorre che si alimenti la consapevolezza che stiamo pregando con il Papa nella Chiesa e per la Chiesa, nella convinzione che a guidarla non sono gli uomini, ma lo Spirito Santo, che continua a bisbigliare parole di orientamento, di gratitudine e di speranza per bocca del suo ministro.

