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Sembra assurdo pensare che, nella realtà del XXI secolo, si possa vivere con lo spettro cupo di una sirena ad aria compressa o con l'inquietudine dell'ombra nera degli aerei che sorvolano le nostre teste armati di bombe.

 

 

 

Uno scenario apocalittico, tipico di un film bellico all'americana o di un racconto dei nostri venerandi nonni che hanno vissuto il terrore di quei cupi momenti, che potevano essere anche gli ultimi della loro vita. Eppure, tutto questo sembra realizzarsi nel panorama internazionale, che seppur lontano per estensione territoriale vede coinvolti tutti i Paesi del cosiddetto “blocco occidentale”.

Il terzo cavallo, quello nero, famoso dell'Apocalisse, violentemente cerca di sfondare la porta della quotidianità, portando il suo fetido alito di morte in una realtà fragile, tormentata dal potere e dal dio denaro. Con questo orizzonte tragico da sfondo, il web si fa portavoce di misure di sicurezza che molti di noi avevano dimenticato o talvolta mai visto, quella dei rifugi, o come li chiamavano i nostri nonni i “ricoveri”.

Video storici o addirittura tutorial sul come realizzarli nei garage, nelle cantine o negli stessi giardini di casa si diffondono con una velocità impressionante, ma soprattutto hanno grande successo telematico le cartine delle varie città con sopra disegnati i punti di ritrovo per la popolazione in caso di attacco aereo. A questo proposito sembra essere doveroso rendere noto che la città di Lecce prima e a seguire quelle di Bari, Taranto e Brindisi sono state preparate alla difesa bellica molto tempo prima dello scoppio della seconda guerra mondiale.

Le coste del Salento, basta pensare a Nardò e Gallipoli, gìà dal 1915 furono tappezzate di piccoli fortini scavati nel terreno al fine di avvistare navi o aerei nemici; questi comunicavano poi, mediante radio la situazione alla “torretta centrale” che con messaggi telegrafici segnalavano la possibilità di un eventuale attacco ai vari comuni. Questo procedimento rimase immutato fino al 1936, anno in cui furono iniziati i lavori di costruzione per i rifugi. L'esperienza della guerra civile spagnola e i fatti di Guernica permisero di essere pronti per il conflitto che ne seguì. Il più grande rifugio, riscoperto solo dieci anni fa, è quello della Villa Comunale di Lecce, che in pochi sanno essere intitolata all'Eroe dei due mondi. Realizzato nel sottosuolo, oggi protetto da un verde cancello e circondato dalle statue di chi rese grande la nostra città, poteva ospitare più di duemila persone, che udendo la sirena suonare da Palazzo Carafa, giungevano con i pochi averi in tasca, frettolosamente presi dai cassetti di casa.  Oggi, purtroppo, la visita resta inaccessibile per le condizioni in cui si trova. Chi ha avuto la fortuna di poterlo esplorare racconta di essersi perso in un mondo mai immaginato prima: le pareti mostravano ancora le scritte rassicuranti la popolazione, le direttive da seguire e non di rado incisioni di date, nomi e motti del tempo perfettamente conservati; ma anche piccoli comuni oggetti distrattamente persi nel panico del momento.

Lecce, pur non avendo subito i bombardamenti alleati come Leverano e Salice, sedi di aeroporti militari, contava otto ricoveri sparsi nei vari punti della città. Il secondo più importante è quello sito sotto il castello Carlo V, le cui gallerie ospitarono anche il distaccamento della Croce Rossa per l'ausilio dei civili. La domanda che oggi assale l'opinione pubblica è certamente se i recenti avvenimenti internazionali possano rimettere in funzioni questi “musei dimenticati” di vita reale, colmi di strazianti pensieri e speranze oramai dimenticate nelle memorie di chi non può più raccontarle.

Foto Lino De Matteis

 

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