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A 101 anni dalla morte della Venerabile Luigia Mazzotta, la Chiesa di Lecce, in continuità con il passato, ha accolto e approvato il nuovo comitato di postulazione della sua causa di beatificazione.

 

 

 

Del comitato fanno parte, il parroco del Sacro Cuore di Gesù in Lecce (nella cui chiesa riposano le spoglie della Venerabile) don Michele Marino, mons. Mauro Carlino, don Michele Giannone, Papas Nik Pace, il prossimo diacono Pierpaolo Signore, Roberto Cavallo, Francesco Andriani, Lilia Cervo, Fulvio D’Agostino, Maria Rosaria Manzo, Pina Capozzi, Antonella Cappilli, Andrea Milelli, Marinella Pellegrino, Paola Maggiore e Amelia De Giorgi.

‘Fama di santità’: questa l’espressione che rimbalzava tra coloro che, tanto numerosi, seguivano il feretro di Luigia Mazzotta. É il 21 maggio 1922 e muore a Lecce la giovane ventiduenne che aveva vissuto in pieno anonimato ma aveva attirato a sé visitatori d’ogni ceto.

I suoi funerali furono un’apoteosi, come registrano le cronache dell’epoca, e pur essendo vissuta in un periodo storico in cui non era usuale che diventasse santa una laica comune, la fama di santità che l’aveva circondata in vita si estese e rafforzò dopo la sua morte, con la manifestazione di innumerevoli grazie.

“La parola santità è oggi enigmatica: in parte dipende dalla crisi di modelli che caratterizza la nostra cultura”, ha scritto Navarro Valls.

Nel secolo XX, dopo il Concilio Vaticano II, si è chiarito il ruolo del cristiano comune nella Chiesa: si tratta della coscienza della chiamata alla pienezza della vita cristiana nelle e attraverso tutte le circostanze della vita.

Alcuni documenti del Concilio  accolgono questo sviluppo della teologia del laicato: “tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità” (Lumen Gentium, 11), che è quella di vivere avendo Cristo come esempio (Cfr. Gaudete et Exsultate, 118), come modello di testimoni credibili e imitabili.

La giovane Luigia, conosciuta per le sue sofferenze che la portarono alla morte precoce, è emblema di virtù come la purezza, il sacrificio e la fede assoluta nell’accogliere il suo martirio: non si è trattato di rassegnazione ma di sublimazione del dolore nella sua gioiosa accettazione.

Questa forma di eroismo, la cui validità si riconosce normalmente solo nella letteratura, rappresenta un modello oggi forse di difficile penetrazione ma di prezioso valore sul senso della vita.

 

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