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Se per un attimo, perché uomini, provassimo a rileggere a ritroso la storia della nostra vita, ci renderemmo conto che essa è continuamente ispirata da modelli.

 

 

 

Succede sempre così ed è anche bello, se vogliamo, che qualcuno diventi fonte di emulazione per quanto concerne comportamenti e condotta esistenziale.

Questo dato, tuttavia, acquista ancora più rilevanza se riguarda la vita sacerdotale e, in modo particolare, l’avventura che un giovane prete, immesso nel ministero da pochi anni, vive rispondendo a quel progetto sublime, bello, esigente ed esaltante di cui il Signore ha reso partecipe una creatura fragile e limitata quale è quella del presbitero.

Condividere con il caro don Vito la gioia per i suoi venticinque anni di ordinazione presbiterale vuol dire fare festa con un fratello buono, fedele, umile, sempre ponderato nelle parole eppure, di certa ed efficace presenza, quasi una scheggia della Parola che rifranca e dà vigore.

Sia chiaro, non si sta facendo l’elogio della persona, ma si stanno riconoscendo le qualità indubbie dell’uomo prima e poi del presbitero poi, ministro della condivisione.

Molti di noi, giovani presbiteri della Chiesa di Lecce, hanno incontrato don Vito negli anni del seminario minore, quando con la dolcezza che gli è propria egli ha saputo mettersi accanto a quelle giovani vite di cui aveva incrociato i passi per aiutarle a capire cosa il Signore chiedesse loro.

Altri di noi, invece, lo hanno avuto in dono come amico prima e poi come confratello dopo, pronto a fare sue le gioie, gli slanci, le speranze e le normali fatiche di un cammino vissuto per il Signore e tra la gente.

Don Vito è stato e continua ad essere ancora, per noi, modello non tanto per gli incarichi di rilievo che la Chiesa nella persona dei suoi vescovi gli ha affidato (non ultimo quello di vicario generale), quanto per la sua fraternità mai giudicante ma sempre sorridente e garanzia di vicinanza.

Di lui, in modo particolare colpiscono due qualità che spiccano più di tutte: il suo essere uomo di preghiera e il suo sforzarsi di essere, sempre, costruttore di comunione.

Chi conosce don Vito non avrà difficoltà a dire che il suo essere prete così come il suo celebrare sia, prima d’ogni cosa, un immergersi in una esperienza di preghiera, quella nella quale ogni giorno egli si lascia incontrare dal Sommo ed Eterno Sacerdote per cercare di essere lì dove vive e lì dove è chiamato ad operare segno di misericordia, di tenerezza, di compassione rendendo vere quella parola contenuta nella Lettera agli Ebrei: “Ogni sommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.  In tal modo egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell'ignoranza e nell'errore, essendo anch'egli rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo” (Eb 5,1-3).

Ed è da questo appuntamento che il sacerdote Vito, quasi a voler fare risuonare lo scritto su menzionato, scende tra la gente per vivere il suo essere per gli uomini: il sacerdozio di don Vito, non è una scoperta, viene vissuto nella ricerca continua della fraternità, quella del sapore delle cose semplici, quella che è ricerca di un sorriso, regalo di una parola incoraggiante, quella che tende a mettere in comune idee, progetti, preoccupazioni e conquiste, quella che ha al suo fondamento Cristo.

Ecco perché, questo primo tratto di strada sacerdotale di don Vito, potrebbe avere quale motivo conduttore il salmo 133: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133,1).

Grazie don Vito caro per la tua testimonianza di prete innamorato di Cristo e della Chiesa: mentre noi tuoi fratelli più piccoli gioiamo con te, ti chiediamo di portarci tutti nel cuore e di continuare ad essere per noi guida e modello sacerdotale, di continuare a farci vedere quel Gesù verso cui, insieme a te, vogliamo camminare.

 

 

 

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