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In questi giorni si compiono i vent’anni della presenza e dell’opera della Fondazione Regina Pacis in Moldavia. Pioniere fu don Cesare Lodeserto nel lontano inizio di millennio.

 

 

Da missionario inviato dall’allora arcivescovo Cosmo Francesco Ruppi, don Cesare in comunione con il vescovo di Chisinau, mons. Anton Cosa che lo ha accolto, ha costruito una grande rete di carità che copre diverse forme di povertà. Dai bambini di strada, alle famiglie povere, agli anziani, ai detenuti…

“Un grande segno di speranza - così ha ‘battezzato’ l’opera l’arcivescovo Michele Seccia in un MESSAGGIO  inviato a don Cesare per l’occasione -, perché è dal cuore dell’uomo, dalla carità che riesce a donare ai poveri che nasce la speranza per l’umanità. E l’umanità della Moldavia vive la povertà come ‘status’ permanente. A questa umanità don Cesare, il nostro don Massimiliano Mazzotta già da un anno, insieme con i volontari della Fondazione, da vent’anni continuano a regalare speranza”.

“L’augurio della Chiesa di Lecce che è vicina e partecipe con don Cesare e con suoi collaboratori e in piena comunione con la Chiesa Moldava - ha concluso Seccia - assume il volto della gratitudine e l’incoraggiamento a proseguire in quest’azione di promozione umana con cristiano coraggio e innumerevoli sacrifici sulla via della carità evangelica, fonte di speranza”.

Con don Cesare abbiamo ripercorso questo ventennio.

Don Cesare, cosa significano venti anni di presenza in Moldavia della Fondazione Regina Pacis?

Nella storia della Chiesa venti anni sono una briciola dell’eternità, quasi un venticello leggero, se vogliamo usare una immagine biblica, che segna il passaggio di Dio nella terra moldava. Anche se con umiltà bisogna dire che qualcosa è stata fatta, grazie al buon Dio, alla comprensione dei pastori delle chiese di Lecce e di Chisinau ed a quanti ci hanno aiutato concretamente.

Quali opere sono state realizzate?

Non serve fare l’elenco delle opere, o distribuire numeri e cifre per sbalordire. Le opere sono sotto gli occhi di tutti e sono il segno dell’amore di Dio per questa terra, il quale si è servito di uomini, per nulla straordinari, ma solo appassionati per i poveri. Ma sono questi ultimi il vero grande dono di Dio e spero solo che i poveri parlino di noi al buon Dio. Va anche detto che le opere sono state possibili grazie all’impegno di moldavi che hanno creduto in questa missione, e prima di tutti Ilie Zabica, che da venti anni sta spendendo la sua vita in questo cammino, e con lui tutta la famiglia Zabica. Una fedeltà pari ad un’opera!

Il valore di quanto è stato realizzato qual è?

Avremmo potuto fare di più ed anche meglio, forse di questo chiederemo perdono al buon Dio. Però è stato fatto ciò che abbiamo avuto il coraggio di fare, e soprattutto accogliere e spezzare il pane della carità. Abbiamo fatto la scelta degli ultimi, perché in essi abbiamo compreso la stupenda presenza di Dio, dagli anziani ai bambini, dai carcerati ai migranti, dalle donne sfruttate alle famiglie povere. Anche se alla fine di ogni giorno faticoso ed intenso, mi sono sempre reso conto che il vero povero ero solamente io. Quando servi i poveri, scopri che sei tu il vero povero.

A chi bisogna dire grazie?

Bisogna sempre ringraziare. Da mons. Cosmo Francesco Ruppi che mi ha inviato a mons. Anton Cosa mi ha accolto. Due figure diverse, ma collocate dal buon Dio per essere i punti di riferimento di un suo progetto. Devo dire grazie a mons. Michele Seccia, il quale fin dal suo arrivo a Lecce ha dato uno slancio alla missione, donando il meraviglioso confratello don Massimiliano Mazzotta, oggi servo dei piccoli a Chisinau. Grazie a don Mario De Stefano, che si è messo accanto con l’Associazione Mission Moldova. Grazie a quanti hanno lavorato e lavorano nella fondazione. Grazie ai benefattori, dai grandi ai piccoli, dagli organismi internazionali a chi ha messo nel cestino l’obolo della vedova. Grazie a chi ha deciso di prendere altre strade, perché ci ha sempre donato qualcosa. Grazie a chi prega ogni giorno per noi, perché il rosario quotidiano del pomeriggio è diventata un’altra straordinaria opera della Fondazione Regina Pacis. Grazie ai tanti amici italiani da Lecce a Mantova, da Verona e Rimini, da Palermo a Bergamo, da Padova a Trento. Grazie alla mia famiglia, sempre unita al mio fianco. Grazie anche a coloro che mi hanno fatto sperimentare la sofferenza, la quale, nonostante la sua durezza ed anche dal sapore ingiusto, l’ho sempre trasformata in forza, perchè l’alba della resurrezione è sempre preceduta dalla croce.

Quale sarà il futuro? L’Italia è sempre nel cuore?

Il buon Dio lo ha scritto e noi cerchiamo di leggerlo. Certamente le opere devono adeguarsi ai tempi, possono anche cambiare o trasformarsi, ma sempre e solamente a servizio della persona, perché è l’unico obiettivo: servire l’uomo che il buon Dio ci pone dinanzi. Bisogna leggere i segni dei tempi e cogliere anche il messaggio della Chiesa. Attualmente sono il primo collaboratore del vescovo mons. Cosa, per cui c’è una visione di Chiesa che devo rispettare e saper comprendere. Inoltre non posso dimenticare da dove vengo e da dove sono partito, perché le origini fanno parte della storia di ogni uomo, importante e cogliere quello che il buon Dio mi chiede. Allora ci vuole la fede. Si, solo fede!

 

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