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Nella scorsa puntata abbiamo introdotto la LECCE SACRA di Giulio Cesare Infantino, riportandone anche il più esteso passo oronziano che ora cercheremo di analizzare.

 

 

Innanzitutto, sul profilo dei personaggi l’Infantino non si discosta da coloro che lo avevano preceduto: Giusto è un giudeo di Corinto, Orontio il primo vescovo della città. Entrambi hanno fondato la Chiesa locale e sono finiti martiri. Per il sacerdote salentino non vi è alcuna preminenza dell’uno sull’altro. I due santi hanno pari dignità, proprio come per mons. PAOLO REGIO . È invece sul destino dei loro corpi che l’autore della Lecce Sacra offre una propria versione dei fatti che tuttavia finisce per intricare ancor più la faccenda. Al contrario del vescovo campano (convinto che nel IV sec. i sacri resti fossero stati deposti in due distinte cappelle extraurbane) l’Infantino afferma che, nelle vicinanze della Porta Romana o poco lungi, furono edificati due piccoli templi dedicati ai martiri. I loro sepolcri vennero però custoditi insieme nel primo di essi, consacrato a San Giusto. Agli albori del XVII sec. erano comunque entrambi in uno stato di totale abbandono, al punto tale che appena si riusciva a scorgerne le rovine.

Interessante risulta, a tal proposito, la menzione dei fatti del 1616 di cui probabilmente l’autore fu anche testimone: il primo cittadino Sigismondo Rapanà condusse, intorno a quei ruderi, una campagna di indagini volte al ritrovamento delle tombe che purtroppo diedero esito negativo. Si tenga presente che il 1616 è l’anno del transito del gesuita taumaturgo Bernardino Realino da Carpi e Sigismondo Rapanà è proprio il sindaco che si inginocchiò davanti al letto di morte del religioso per consegnargli la chiave urbica. Un gesto pressoché senza precedenti. Una vera e propria canonizzazione compiuta dall’autorità civile che di fatto investiva il padre Realino (per giunta, ancor prima che fosse passato all’altro mondo) della carica di protettore civico. Tutto questo mostra quanto a Lecce, in quel frangente storico, la questione del patronato celeste fosse ormai qualcosa di fluido, nonostante gli atti solenni ed ufficiali che venivano compiuti.

   L’autore inserisce poi un accenno all’episodio, narrato nelle CRONACHE di Antonello Coniger, che vide protagonista Francesco II Orsini del Balzo affermando come questi, oltre alle reliquie di Sant’Irene e di Sant’Orontio, avrebbe promesso alla città anche quelle di San Giusto. Non manca infine un rimando all’APOLOGIA PARADOSSICA . Ma, al contrario di Jacopo Antonio Ferrari, l’autore ignora del tutto la traslazione dei corpi dei martiri nell’antica cattedrale e ritiene che essi vennero occultati all’epoca di Ugo di Brienne, in pieno XIII sec. In ogni caso, l’Infantino si dichiara convinto che, sebbene scomparsi agli occhi dei fedeli, i venerabili resti dei santi dovrebbero essere ancora a Lecce «poiché ogni volta che ella s’è veduta in qualche gran pericolo, è stata contro ogni humana aspettazione da Dio liberata, per l’intercessione di questi gloriosi martiri».

 

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