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Sia per il mondo civile sia per l’anno agrario l’11 novembre era considerato un capodanno e un momento di rinnovamento temporale che coinvolgeva le attività più importanti, tanto che in questo giorno iniziavano le attività di alcune istituzioni come i tribunali, erano rinnovati i contratti agrari o delle abitazioni e non si andava a scuola.

Al tempo della monarchia, coincidendo l’11 novembre col genetliaco del re Vittorio Emanuele III, quel giorno fu proclamato giorno di festa nazionale.

Per una serie di coincidenze, in questo giorno “di precetto” si cominciò a spillare il vino novello, come ricorda il detto: de santu Martineddhru minti a lla utte lu spineddhru, di San Martino metti lo zipolo alla botte. Popolarmente “fare san Martino” significa ‘fare festa’, trascorrere ore a tavola e brindare alla conclusione di un ciclo produttivo. Ricorda un proverbio: te santu Martineddhru se nun ài pane te mpigni lu mantieddhru, di san Martino se non hai pane ti impegni il mantello. Di quel giorno è sopravvissuto il ricordo di augurare uno stato di abbondanza con la frase beneaugurante: santu Martinu!, san Martino! o sammartinu tte lu crisca, o santu Martinu, ben venga! San Martino te lo cresca o san Martino, ben venga!, che si rivolgeva a tutti, e particolarmente alle massaie in procinto di predisporre la farina ed il lievito per la panificazione o ai contadini nel momento di pigiare l’uva o torchiare le olive.      

La ricorrenza di San Martino segna un momento importante nell’anno agricolo: te santu Martinu sìmmana an chinu, di San Martino semina a piene mani; se uei ffaci nu buenu vinu, zappa e pputa de santu Martinu, se vuoi ottenere un buon vino, zappa e pota di san Martino.

Per approfondimenti: R. Barletta, Quale santo invocare?, Grifo, 2013.

 

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