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Non è facile ricostruire la giornata di Natale di qualche decennio fa e sapere, per esempio, come si trascorreva il tempo in casa o quali pietanze costituivano il pranzo al quale oggi si dà particolare rilievo.

 

 

 

Dai ricordi, alquanto confusi di amici e conoscenti, si è dedotto che si cucinava ciò di cui si disponeva in casa, prediligendo la pasta condita col sugo di conserva di pomodoro fatta a casa, magari insaporito con un po’ di lardo di maiale e le classiche polpette.

Generalmente, se rimaneva qualcosa della cena della vigilia, si riscaldava e si consumava. Anzi si preparavano quante più pittule possibili proprio perché avanzassero per questo motivo.

Ricco o parco che fosse, in ogni caso il pranzo cominciava con la lettura della ‘letterina di Natale’ che il più piccolo della famiglia faceva trovare sotto il piatto del padre e che leggeva dinanzi a tutta la famiglia, una volta che questi ne scopriva l’esistenza.

Con bella calligrafia il bambino aveva scritto che avrebbe avuto un comportamento lodevole, teoricamente un intero anno…puntualmente non rispettato. Tale promessa, di là dalle intenzioni, doveva commuovere il principale ascoltatore che gratificava il figlio donandogli pochi, preziosi spiccioli.

Il resto della giornata si trascorreva ricevendo parenti e amici coi quali si giocava a tombola o a carte o portando i bambini a fare visita a chi non si era potuto spostare dalla propria casa. Questa occasione dal taglio sociale diventava l’opportunità per fare omaggio di un piatto di purceddhruzzi o di ncarteddhrate oppure della pasta di mandorla, i tipici dolci rappresentativi del periodo natalizio.

I primi sono così detti perché, singolarmente, appaiono simili al musetto di un porcellino. Tuttavia, le forme sono le più diverse, a seconda della fantasia di chi lavora l’impasto a base di semola. Dopo averli fatti asciugare e fritti, si amalgamano nella pentola sciogliendo il miele. Ancora caldi si depongono nei piatti e si decorano con anisini, confettini argentati e, a piacere, pezzetti di cioccolato fondente, cannella e pinoli.

Solitamente sui purceddhruzzi si metteva la ncarteddhrata, una striscia di pasta accartocciata, pur essa fritta, immersa per qualche minuto nel miele e guarnite con minuscoli confetti, simili a chicchi di grano. La degustazione di questi dolci tipici si accompagnava con un bicchierino te rosoliu, liquore fatto a casa.

L’usanza di mangiare dolci a base di farina risale all’epoca cristiana; per i Padri della Chiesa il Natale era il “giorno del pane”, cioè il giorno dell’incarnazione di Gesù e ciò avvenne a Betlemme che in ebraico significa propriamente “casa del pane”.

Un’altra ritualità gastronomica prevedeva la confezione del pesce di pasta di mandorla, raffigurazione che richiama l’immagine di Cristo e che sulle pareti delle catacombe veniva accompagnata dalla scritta Ichthys.

 

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