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«Voglio evocare il ricordo di quel Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del cuore i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia quando fu messo sul fieno tra il bue e l’asino».

 

 

 

Con questi pochi riferimenti visivi, secondo quando riportato da Tommaso da Celano, Francesco d’Assisi realizzò il presepe: era il Natale del 1223, esattamente 800 anni fa.

E «sorprendentemente mancano proprio i protagonisti principali il Bambino e la Madonna», specifica Chiara Frugoni una delle maggiori esperte di francescanesimo; «chiede invece la greppia e il fieno; chiede il bue e l’asino, ricordati soltanto dai Vangeli apocrifi», in particolare dallo Pseudo-Matteo. Una vera e propria mangiatoia, nessun attore, nessun oggetto di scena, senza icone scolpite o dipinte: «già al tempo di Francesco, ma anche prima, - chiarisce Frugoni -, nelle Chiese la notte di Natale era rappresentata ricorrendo a tavole dipinte o a statue messe sull’altare accanto a esso o a sacerdoti-attori e ad attori» che rappresentavano soltanto figure umane quali il Bambino, Maria, Giuseppe, i pastori. Francesco avrebbe affidato invece a elementi più marginali la rappresentazione del presepe, senza addirittura la presenza di un bambino “né reale né raffigurato” rimettendosi «invece alla propria straordinaria capacità oratoria, ad un’immagine mentale evocata in modo tanto incisivo […] da tradursi in una visione che risarcisce il vuoto della mangiatoia».

La centralità scenica data al fieno e agli animali indica che le sue parole dovettero riaffermare ancora con convinzione, senza alcun compromesso, un messaggio di pace e di fratellanza universale: «la pace è il punto centrale del progetto di Francesco, instancabilmente cercata per tutta la vita, pace che coincide con l’essenza stessa del Natale», al di là di ogni contrasto, frontiera, divisione. L’essenzialità della rappresentazione visiva rappresentata da due animali e dal solo fieno rievoca un’idea fissa di Francesco che può essere esplicata dal riferimento all’esegesi patristica: il bue rappresenta gli ebrei, l’asino i pagani, il fieno “l’ostia salutare”.   Il bue e l’asino si nutrono del fieno della mangiatoia, esattamente come ogni popolo può nutrirsi della Parola di Dio, pur non seguendo il suo insegnamento o addirittura ignorandolo.  Era ed è un messaggio importante in un tempo ancora dilaniato da ingiustificabili conflitti, come 800 anni fa al tempo di Francesco; era ed è un’immagine sobria e al tempo stesso provocatoria, in un’epoca in cui il confronto con gli Ebrei e con l’Islam veniva e viene sempre ricondotto alla logica del conflitto armato e della sottomissione, alla logica della morte, al fragore delle bombe, delle armi che annebbiano la nostra umanità.

«Il presepe, che per la prima volta San Francesco realizzò proprio in questo piccolo spazio, a imitazione dell’angusta grotta di Betlemme, parla da solo - afferma Papa Francesco -. Qui non c’è bisogno di moltiplicare le parole, perché la scena che è posta sotto i nostri occhi esprime la saggezza di cui abbiamo bisogno per cogliere l’essenziale» che spesso è ‘invisibile agli occhi’ e ‘non si vede bene che col cuore’. 

«È così che nasce la nostra tradizione: tutti attorno alla grotta e ricolmi di gioia, senza più alcuna distanza tra l’evento che si compie e quanti diventano partecipi del mistero» (Papa Francesco, Admirabile signum).

 

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