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“Desidero raggiungervi con un pensiero di accompagnamento e di amicizia, che spero possa sostenervi mentre portate avanti il vostro ministero, con il suo carico di gioie e di fatiche, di speranze e di delusioni”.

 

 

“Abbiamo bisogno di scambiarci sguardi pieni di cura e compassione, imparando da Gesù che così guardava gli apostoli, senza esigere da loro una tabella di marcia dettata dal criterio dell’efficienza, ma offrendo attenzioni e ristoro”. Lo scrive Papa Francesco in una lettera (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) che ha inviato ai sacerdoti della diocesi di Roma, che porta la data del 5 agosto, memoria della dedicazione della basilica di Santa Maria Maggiore, ma che è stata diffusa ieri dalla Sala stampa vaticana.

Dopo aver rinnovato il suo “grazie” ai sacerdoti, il Papa osserva: “Il nostro ministero sacerdotale non si misura sui successi pastorali (il Signore stesso ne ha avuti, col passare del tempo, sempre di meno!). Al cuore della nostra vita non c’è nemmeno la frenesia delle attività, ma il rimanere nel Signore per portare frutto (cfr Gv 15). È Lui il nostro ristoro (cfr Mt 11,28-29). E la tenerezza che ci consola scaturisce dalla sua misericordia, dall’accogliere il ‘magis’ della sua grazia, che ci permette di andare avanti nel lavoro apostolico, di sopportare gli insuccessi e i fallimenti, di gioire con semplicità di cuore, di essere miti e pazienti, di ripartire e ricominciare sempre, di tendere la mano agli altri. Infatti, i nostri necessari ‘momenti di ricarica’ non avvengono solo quando ci riposiamo fisicamente o spiritualmente, ma anche quando ci apriamo all’incontro fraterno tra di noi: la fraternità conforta, offre spazi di libertà interiore e non ci fa sentire soli davanti alle sfide del ministero”.

Il Pontefice spiega: “È con questo spirito che vi scrivo. Mi sento in cammino con voi e vorrei farvi sentire che vi sono vicino nelle gioie e nelle sofferenze, nei progetti e nelle fatiche, nelle amarezze e nelle consolazioni pastorali”.

La mondanità, “quando entra nel cuore dei pastori”, “assume una forma specifica, quella del clericalismo - ha aggiunto il Pontefice”. Il clericalismo, evidenzia il Santo Padre, “denota insomma una malattia che ci fa perdere la memoria del Battesimo ricevuto, lasciando sullo sfondo la nostra appartenenza al medesimo popolo santo e portandoci a vivere l’autorità nelle varie forme del potere, senza più accorgerci delle doppiezze, senza umiltà ma con atteggiamenti distaccati e altezzosi”.

Il Papa cita la metafora del “latte” e della “lana” (ciò che nutre e che riscalda) presente in Ezechiele e in Sant’Agostino per ammonire dal rischio di “nutrire noi stessi e i nostri interessi, rivestendoci di una vita comoda e confortevole”. “Quando siamo preoccupati solo del latte, pensiamo al nostro tornaconto personale; quando cerchiamo in modo ossessivo la lana, pensiamo a curare la nostra immagine e ad aumentare il successo. E così – mette in guardia Francesco – si perde lo spirito sacerdotale, lo zelo per il servizio, l’anelito per la cura del popolo, finendo per ragionare secondo la stoltezza mondana”.

“La preoccupazione, allora, si concentra sull’‘io’: il proprio sostentamento, i propri bisogni, la lode ricevuta per se stessi invece che per la gloria di Dio. Questo accade nella vita di chi scivola nel clericalismo: perde lo spirito della lode perché ha smarrito il senso della grazia, lo stupore per la gratuità con cui Dio lo ama, quella fiduciosa semplicità del cuore che fa tendere le mani al Signore, aspettando da Lui il cibo a tempo opportuno (cfr Sal 104,27), nella consapevolezza che senza di Lui non possiamo far nulla (cfr Gv 15,5)”, aggiunge il Papa, che spiega qual è “l’antidoto quotidiano alla mondanità e al clericalismo: guardare Gesù crocifisso, fissare gli occhi ogni giorno su di Lui che ha svuotato sé stesso e si è umiliato per noi fino alla morte (cfr Fil 2,7-8)”. Questo è “lo spirito sacerdotale: farci servi del Popolo di Dio e non padroni, lavare i piedi ai fratelli e non schiacciarli sotto i nostri piedi”, chiarisce il Pontefice, che invita a restare “vigilanti verso il clericalismo”.

 

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