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Portalecce ospita in questa settimana il commento al Vangelo della festa della Trasfigurazione, a cura di don Rocco D’Ambrosio, sacerdote della diocesi di Bari-Bitonto, docente di filosofia politica presso l’Università Gregoriana e presidente dell’associazione “Cercasi un fine”.

 

 

 

Il Vangelo di questa domenica: In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.

Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.

Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti» (Mt 17, 1-9).

 

Il mondo di internet è stracolmo di riferimenti ad apparizioni miracolose, vere o false, autentiche o presunte. Molti profili di Facebook diventano casse di risonanza di ogni genere di appelli. Spesso è quasi un correre qua e là per poter essere spettatori di eventi straordinari. Non basta il Vangelo, quanto il Signore ci ha rivelato? Sembrerebbe di no... Il brano odierno ci potrebbe aiutare, ovviamente nella misura in cui siamo disposti ad ascoltare e a farci istruire dal Signore, anche in materia di apparizioni. La trasfigurazione sul Tabor non è richiesta da Pietro, Giacomo e Giovanni. È puro dono. Semplice e chiaro, ma tanto difficile da vivere. È il Signore che si mostra, non siamo noi a comandare di farlo. Certo, possiamo dire, con il salmista: “Il mio cuore ripete il tuo invito: Cercate il mio volto! Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza” (Sal 27). Possiamo e dobbiamo dire sempre fa' splendere il tuo volto, Signore, ma i tempi e i modi li decide solo e solamente Lui. Tutto è sua grazia, anche il poter vedere il Suo volto. 

Forse Gesù ha voluto ascoltare la preghiera di questi discepoli, forse aveva in mente altro. Ma più che i motivi per cui Gesù abbia potuto farlo, ci interessa la dinamica della trasfigurazione di Cristo. Essa avviene sul monte, lontana dagli altri ma… vicina alla loro storia. Mosè ed Elia sono lì a testimoniare quanto il Signore voglia confermare la storia, la fede, le attese che i discepoli avevano: conoscere il Cristo. E Dio lo presenta loro così. La manifestazione del Cristo avviene in un susseguirsi di stati emotivi contrastanti dei discepoli: sonno, risveglio, visione, gioia, stupore, paura, silenzio. È difficile quasi commentarli e seguirli uno a uno. Ma forse non serve tanto. Serve, piuttosto, capire che, quando Dio si rivela, in piccoli come in grandi contesti, l’alternarsi di sentimenti contrastanti è nell’ordine delle cose. Ma non è questo il centro del tutto. Il focus è il fatto che Dio si faccia vedere, che ci dica qualcosa e così trasfiguri, poco o tanto che sia, la nostra realtà.

Per comprendere tutto ciò non dobbiamo pensare che questo riguardi apparizioni straordinarie e fuori del comune; dobbiamo invece pensare a tutte le piccole manifestazioni quotidiane in cui Dio ci visita, ci dà una mano a portare avanti il peso della giornata con piccoli ma significativi segni della sua presenza. Può essere un sorriso, un’attenzione, un aiuto, l’affetto che viene da altri oppure un’idea, un sentimento, un’intuizione che nasce in noi. Qual è il fine di questo modo di visitarci di Dio? Che noi amiamo e ascoltiamo di più il Suo Figlio. Tutto, sempre e comunque, in maniera ostinata e gelosa, deve tendere, ritornare e dar gloria al suo Figlio, il Cristo. Se si comprende ciò, soprattutto se lo si ricorda costantemente, si entra in quella dinamica di fede per cui non sono importanti il numero o la grandezza delle “trasfigurazioni” in cui siamo coinvolti, quanto il fatto che siamo più uniti al Cristo dopo averle ricevute. Perché siamo sempre nelle sue mani.

Lo ha detto benissimo Edith Stein: “Dalla soddisfazione di sé di un “buon cattolico”, che “fa il suo dovere”, “vota il partito”, ma altrimenti fa quello che gli pare, c'è un lungo cammino da percorrere fino a poter vivere una vita con la mano nella mano di Dio, guidata dalla sua mano, con la semplicità del bambino e l'umiltà del pubblicano. Ma chi ha percorso una volta quella strada non torna più indietro”.

 

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