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In occasione degli 800 anni del primo presepe realizzato da San Francesco d’Assisi nel 1223 l’Accademia del santino di Trepuzzi ha presentato una mostra itinerante di presepi artistici dal titolo “La tenerezza del Natale nella bellezza del presepe” aperta fino a domani 26 dicembre.

 

 

 

Le opere artistico-religiose sono distribuite tra la chiesa di San Giuseppe, la cappella delle Anime, il Circolo culturale anziani, il Circolo culturale Galilei e la Pro Loco Casalabate solo la mattina per il resto dalle 10 alle 12 e dalle 17 alle 19. Ad inaugurarla il francescano Padre Antonio Mattia che abbiamo incontrato e altresì postogli alcune domande a Fra Antonio Mattia, frate minore originario di Trepuzzi e vicario parrocchiale a Fulgenzio in Lecce.

 

 

Padre Antonio, ha senso oggi parlare di presepio, o è un anacronismo?

 

No, la festa del Natale era pagana, il 25 dicembre “onorava” il sole vittorioso. I cattolici hanno poi soppiantato quel rito. I cristiani danno un nuovo significato alla festa. Ancora oggi come sempre richiama la venuta del Cristo nella nostra storia, nella nostra vita, soprattutto per noi cristiani il presepe ci rimanda alla nostra tradizione umana, al nostro credo. Se noi svuotiamo il Natale di questo significato, ovvero l’Incarnazione di Cristo nel seno della Vergine Maria, non ha senso per l’umanità celebrare questa festa.

 

 

Quale è il messaggio intrinseco di questo grandioso evento che si estende fino all’Epifania?

 

In realtà noi sappiamo che tutti gli eventi della vita di Gesù si rifanno all’evento basilare, ossia alla passione, morte e risurrezione, infatti, la stragrande maggioranza degli scritti evangelici riguardano la Resurrezione. Poi vengono redatti quelli della nascita. Abbiamo poco sul primo Natale, salvo la presenza dei magi con i loro doni che si prostrano al Bambino offrendogli oro, incenso e mirra che ci ricordano la regalità,  e poi Dio Profeta e anche la sepoltura, la mirra è infatti parte del rito ebraico. Il Vangelo più teologico di San Giovanni inizia proprio così con il suo incipit “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce”.

 

 

Dal latino “praesaepe” che significa “mangiatoia” a cos’altro ci fa pensare il presepe partendo da Greccio, dal punto di vista religioso?

 

Quando noi ricordiamo gli 800 anni dal primo presepe dobbiamo pensare che Francesco è un uomo medievale e come tale legato ai segni, ai simboli che facevano passare tutto attraverso l’esperienza empirica e quindi il “tastare” con mano è tipico del tempo. Difatti Francesco si libera dei suoi abiti, così fa anche per tutte le cose. Per comprendere il mistero dell’incarnazione vuole vedere con gli occhi del corpo che cosa già contemplava lo spirito e decide così di realizzare il presepe vivente, nel quale non è presente la raffigurazione della Madonna ma il Dio Bambino che vuol dire il nascituro, l’Eucarestia.

 

 

Non è un controsenso festeggiare in un mondo decisamente drammatico, dove si combattono guerre intestine in casa e fra popoli diversi?

 

In realtà sappiamo che il Principe della pace nasce in una terra da sempre martoriata ma queste contraddizioni non ci devono spaventare, le guerre sono opera dell’uomo e non di Dio. Il messaggio di Cristo, vera pace, ci deve spingere ad essere religiosi perché accogliamo il senso più intimo di Dio con buona volontà e così diventiamo costruttori di pace ispirandoci a Lui. Come fare? Rinunciando all’avidità e all’egoismo, la pace può essere possibile, sempre riconoscendo il proprio limite, in nuce solo Dio può dare quella pace.

 

 

Quanto c’è di sacro e quanto di “commerciale” a Natale oggi?

 

In una mia recente omelia dicevo che noi prepariamo esternamente tutto ciò che ci vuole per il Natale, l’albero, il presepe ma dobbiamo in verità preoccuparci che vi sia una corrispondenza all’interno del nostro cuore. Spesso non ci poniamo domande esistenziali e cioè perché festeggiamo la Nascita. Questo riflette un atteggiamento precipuamente pagano. Tante volte ci meravigliamo che il Natale sia già passato e ciò accade perché non lo viviamo spiritualmente in consonanza al suo senso. Senza le opere buone, come rammenta l’apostolo Giacomo, la fede è morta.

 

 

Ai giovanissimi digitalizzati, il presepe vivente costituirebbe un momento magico con il sottofondo delle cornamuse, o lei che è molto giovane glielo presenterebbe secondo una forma tecnologica? 

 

Secondo la mia esperienza di insegnante in una scuola media, penso che i ragazzi abbiano bisogno di stimoli, che anche i genitori non gliene forniscano a sufficienza, basti pensare che sovente non santificano la messa domenicale. Procedendo in tal senso i giovani vivranno con scarsa fede. Invece, è importante spiegare loro e far loro leggere tra le righe l’importanza che rivestono nella vita cose e persone. Nel caso dei presepi, si personificano vari personaggi del mondo sulla carta roccia. Pertanto, non ha senso avere dubbi, perplessità, domande, ma identificarci nella realtà presepiale in tale situazione, es. il dormiente, il vigilante presentano una fede spenta, sopita, poi il déjà vu e altro. È difficile tramutare ciò in esaustiva digitalizzazione, tecnologicamente possiamo essere accattivanti ma manca un attributo basico, l’emozione. Molti pensano erroneamente che il cristianesimo vivendolo non può aiutare a risolvere situazioni di sofferenza, invero il linguaggio cristiano è metastorico, che supera i tempi, valido già da migliaia di anni fa.  

 

 

Dopo otto secoli, che cosa si sente ancora di dire in sostanza lei sull’opera di San Francesco?

 

Francesco, un uomo profondamente radicato nel mondo, non ha un carisma preciso, ma tanti, si occupa di malati ma non solo, come nel caso dei lebbrosi, si cura del creato, dialoga con le istituzioni. Non ha paura della sua umanità, in maniera grandiosa la solennizza, santificando ogni azione perché proviene da Dio. Altresì lascia alla storia dei posteri questa idea in miniatura che è il presepio.

 

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