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"La chiamata alla santità nella Chiesa particolare" è stato il tema della relazione di don Vito Mignozzi, preside della Facoltà teologica pugliese, che ha aperto la sessione pomeridiana di ieri del convegno “Dimensione comunitaria della santità”, organizzato dal Dicastero delle cause dei santi.

 

 

La tre giorni si conclude oggi 15 novembre all'Istituto Patristico Augustinianum di Roma. La sessione di ieri pomeriggio era moderata dal direttore de L'Osservatore Romano, Andrea Monda

Mignozzi, consultore teologo del Dicastero delle cause dei santi, che ha preso parte anche alla prima sessione del Sinodo dei vescovi, ha precisato che se c’è “un’universalità della chiamata alla santità, la via della sua possibile realizzazione è quella che passa per il vissuto di ogni singola Chiesa particolare”, dove i fedeli, di ogni stato e condizione, sono chiamati da Dio, “ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste”.

La santificazione, inoltre, è anche un cammino comunitario, ecclesiale, come si legge nella Esortazione apostolica Gaudete et exsultate di Papa Francesco sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo, tanto che, ricorda il Pontefice, “in varie occasioni la Chiesa ha canonizzato intere comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la vita di tutti i loro membri”. È il caso, ad esempio, dei sette santi fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria, delle sette beate religiose del primo monastero della Visitazione di Maria, di San Paolo Miki e compagni martiri in Giappone, di Sant’Andrea Taegon e compagni martiri in Corea e dei beati monaci trappisti di Tibhirine.

È la comunità ecclesiale particolare “che permette al singolo credente di incontrare Cristo per essere in Lui ed essere con Lui e con gli altri credenti una cosa sola”, ha rimarcato Mignozzi, aggiungendo che “un indubbio e singolare valore” è rivestito dall’Eucaristia, la quale “alimenta e sostiene il cammino dei credenti”. Un ruolo fondamentale rivestono la liturgia e la pietà popolare, che è “la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi”. Ma pure “le strutture ecclesiali, con le realizzazioni architettoniche degli stessi edifici di culto, sono al contempo custodia e narrazione di una storia di santità che ha impreziosito il volto di una Chiesa”, ha rilevato ancora Mignozzi, perché “i linguaggi della fede sono anche quelli dell’architettura delle chiese, dei gesti della ritualità cristiana, di tutte le tradizioni e di tutte le arti che compongono l’immenso immaginario collettivo cristiano”.

Dunque, la vita di ogni Chiesa particolare ha “una trama di santità vissuta, che attraversa i tempi e caratterizza lo spazio, e sostiene il processo di trasmissione della fede e ne mostra possibili e feconde realizzazioni”. Si pensi ai cosiddetti santi sociali, accomunati da un forte impegno pragmatico, nell’aiuto ai poveri, ai deboli e ai bisognosi e che si concentrano in uno spazio ben connotato e in un tempo definito nella penisola italiana, tra loro San Giuseppe Benedetto Cottolengo, San Giovani Bosco, San Giuseppe Cafasso, il Beato Giuseppe Allamano. Si tratta di esempi che provano come la chiamata alla santità costituisca “un locus teologale ed esistenziale in cui l’opera dello Spirito santificatore sostiene la vita in Cristo dei credenti - ha concluso il consultore teologo del Dicastero delle cause dei santi - radicandola in un preciso contesto e ponendola a servizio del Vangelo e delle sue molteplici forme di mediazione storica”.

 

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