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Ogni giorno che passa constatiamo che in più parti del mondo vi è uno “sfoggio” di violenza sia nei luoghi di guerra sia nelle piazze che, per antonomasia, simboleggiano la convivialità di una comunità.

 

 

 

Lo “sfoggio” è manifestato non soltanto attraverso l’uso delle armi - quelle in dotazione, ormai sofisticate, sono preferite perché annientano l’antagonista senza perdere tempo -, ma anche con l’adozione di ragionamenti distorti e diabolici pronunciati da menti pervase da follia pura. E ci fermiamo qui perché non trovo una parola capace di tradurre lo spessore di disumanità che muove più di un parlante, sia esso a capo di una nazione, di un movimento, di un partito, di una cosca et similia.

I cosiddetti bollettini di guerra che, tecnicamente, sono compilati per comunicare l’andamento delle operazioni militari e che i giornalisti-inviati trasmettono sinteticamente all’opinione pubblica attraverso i mezzi d’informazione, ormai entrano in casa con frequenza. Ma non sono unicamente resoconti bellici. Spesso si tratta di fatti di cronaca accaduti poco oltre la porta di casa: per esempio di risse tra baby-gang o di gruppi di balordi che usano camminare armati di un coltello o di una pistola. Sfogliare i giornali locali è come leggere un bollettino di guerra.

Allora non sembra vero potere trascorrere un momento della giornata, ascoltando discorsi che incitano alla non violenza attraverso una serie di riflessioni che inducono ad abbracciare uno stile di vita, quello che caratterizza il buddhismo tibetano.

Fino a domani 22 ottobre, presso il castello di Copertino, un gruppo di monaci seguaci di questa filosofia, intrattiene gli scolari, i principali invitati alla manifestazione “Mandala per la pace”, sulla promozione della cultura della pace e mostra loro come si realizza un mandala di sabbia, spiegandone il significato profondo del disegno e della sabbia colorata rigorosamente con prodotti naturali.

Com’è noto, i seguaci del buddhismo tibetano, sono perseguitati dalla Repubblica Popolare Cinese e, ormai, non riescono più a lasciare il loro territorio. Se capitano nelle grinfie dei soldati cinesi sono oggetto di violenze e sevizie inenarrabili. Ciò nonostante sopportano pregando per il carnefice. Non a caso, pur avendo subìto un annientamento culturale nella propria terra, i tibetani “lottano” contro i loro oppressori, adoperando uno strumento assolutamente inoffensivo: la non violenza.

Noi occidentali - non tutti per fortuna - siamo lontani dalle filosofie che privilegiano la compassione, la tolleranza o la pazienza; abbiamo smarrito il senso di vivere in armonia con gli altri e ci risulta più facile sopraffarli. Soprattutto se li riteniamo fragili e indifesi e li reputiamo deficitari intellettivamente. Ci risulta difficile cambiare modo di pensare.

Scoprire ragionamenti e atteggiamenti che conducono alla pace e provengono da una cultura diversa dalla nostra, non è soltanto un modo per appagare la curiosità. Può anche diventare un gesto di solidarietà e di condivisione. Un’insolita prova d’esame per conoscere il nostro quoziente di tolleranza capace di raggiungere uno stato dell’anima che appare sempre lontanissimo, irraggiungibile. E che, invece, ha soltanto bisogno di essere scoperto se qualcuno ci aiuta a farlo oppure di praticarlo con più frequenza perché è lì. Basta sollecitarlo.

 

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