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Finita la liturgia, nessuno esce dalla cattedrale. Rivolti verso l’altare, i fedeli intonano la “Molytva za Ukrayinu”, “Preghiera per l’Ucraina”, un inno patriottico e spirituale ucraino.

 

 

 

Viene cantato con solennità. Non ci sono rumori. Tutto si ferma. Il clima che si respira a Kyiv è racchiuso qui, in questo canto e in questi volti piegati dal freddo dell’inverno e dai segni della guerra. Siamo nella cattedrale greco-cattolica della Risurrezione di Cristo di Kyiv. Appena due settimane fa, il 25 novembre, l’edificio è stato danneggiato a seguito di un massiccio attacco sferrato dai russi con droni d’assalto. Uno degli “Shahed” lanciati contro la capitale, è stato abbattuto nel quartiere vicino alla cattedrale ma l’onda d’urto ha danneggiato le porte e fatto crollare le finestre. È un Natale dimesso a Kyiv. Non c’è famiglia qui che non abbia perso qualcuno in battaglia o che non abbia qualche parente stretto impegnato sul fronte. Fratelli, mariti, padri. Dopo la liturgia, un giovane alto, in divisa verde, si avvicina al vescovo Bohdan Dzyurakh che ha appena concelebrato insieme a Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk. Gli chiede, stringendogli forte le mani, di benedirlo e di seguirlo con la preghiera. Era in partenza per il fronte (GUARDA).

Laddove una folla di giovani ha combattuto tra novembre 2013 e febbraio 2014 per i principi e i valori dell’Europa, ora si distende un prato verde dove dall’inizio della guerra su vasta scala, è stata piantata una bandierina per ogni soldato morto in battaglia: sull’azzurro e sul giallo sono scritti i nomi del militare, la data di nascita e di morte. A fianco, appaiono qua e là le foto dei soldati morti. Sono tutti giovanissimi. Un manto bianco di neve copre il mare di bandierine. Sono centinaia ma nelle notti buie di Kyiv, si fa fatica a distinguere le immagini, come si fa fatica a conoscere il bilancio dei morti ucraini caduti sul fronte. Una informazione su cui il governo mantiene l’assoluto riserbo. Si sa solo, che il numero delle bandierine è andato aumentando, in maniera inarrestabile, giorno dopo giorno. È un dolore immenso che pesa. I passanti si fermano e osservano per qualche istante quel mare ghiacciato. Per qualcuno, è l’unico modo che hanno per rendere omaggio a qualcuno dei loro cari il cui corpo dal fronte non è mai tornato a casa.

La gente cammina per le strade. Prende la metropolitana. Ma è una normalità solo apparente. Il coprifuoco spezza le serate, anche di sabato sera. Parte a mezzanotte per finire alle 5 di mattina. Gli allarmi non smettono purtroppo di suonare. Solo due giorni fa, la contraerea ucraina ha sventato attacchi su Kyiv condotti dalle forze armate russe. Le esplosioni si sono sentite forti in tutta la città. I vetri dei palazzi hanno tremato. Al pericolo militare, si aggiunge un inverno rigido che porta le temperature a scendere sotto lo zero. Le strade sono ghiacciate, si fa fatica a camminare. Nonostante l’imminenza del Natale, c’è poca gente nei centri commerciali. Qualche negozio ha addirittura le serrande abbassate, segno di una crisi che sta prendendo di mira anche le attività commerciali. Soprattutto nei villaggi, la gente è senza lavoro. Mancano gli uomini, impegnati sul fronte, e i piccoli imprenditori si lamentano della difficoltà a trovare manodopera.

Mons. Oleksandr Yazlovetskyi è vescovo ausiliare della chiesa cattolica latina di Kyiv e presidente di Caritas-Spes. “Molti sono andati via e la gente è diventata più povera. I prezzi sono saliti a causa della guerra”. “Prima le persone si chiedevano quando questa guerra sarebbe finita, adesso, non più”, racconta il vescovo. “Ci stiamo abituando a questa situazione ma soprattutto non vediamo una fine”. Il vescovo ha un messaggio da lanciare: “Abbiamo la sensazione che in Europa vi stiate dimenticando di noi. Sono due anni che stiamo vivendo questa guerra. È normale che l’attenzione mediatica si abbassi. Però, vi chiediamo di non lasciarci soli e di ricordarvi di noi. Nelle vostre preghiere prima di tutto e negli aiuti che ci potete dare. Ricordatevi di noi perché siamo parte della famiglia dell’Europa e questa guerra si sta combattendo anche nel cuore della casa europea”.

 

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