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Chiudere i negozi alla domenica. L’ultimo annuncio del vice premier Di Maio suscita, come è legittimo che sia, plausi e polemiche. 

lazzari

All’apparenza potrebbe sembrare una questione non particolarmente coinvolgente, se non per quella parte di cittadinanza che vorrebbe rispettato, chi per ragioni etico religiose, chi per ragioni legate al diritto del lavoratore, il sacrosanto riposo domenicale. In realtà si tratta di una delle tante questioni complesse prodotte dall’attuale sistema di sviluppo. Un sistema di sviluppo che ha al centro il cittadino consumatore, che deve confrontarsi  con un mercato globale e con forti spinte verso la finanziarizzazione dell’economia. La questione esige, perciò, riflessioni articolate, trattandosi di un tema che intreccia rischi e opportunità e mette in gioco valori diversi ma tutti degni di eguale considerazione.

Non v’è alcun dubbio che la chiusura domenicale delle attività commerciali dal punto di vista dell’impresa pone un problema di produttività; da quello del lavoratore un problema di riconoscimento di un diritto; da quello del consumatore un problema di libertà di comportamento; da quello, infine, della Chiesa un problema etico. I primi tre punti di vista si connotano come legittimi interessi che però trovano significato esclusivamente all’interno delle dinamiche dello sviluppo tecnico economico contemporaneo, con i suoi effetti negativi in termini distruzione dell’ecosistema, di crescenti diseguaglianze, di forti squilibri demografici.  Il quarto punto di vista, quello della Chiesa,  si colloca, invece, in un’altra prospettiva, che Papa Francesco - a partire dalla Laudato sii  -  non si stanca di richiamare: una visione positiva dell’economia fondata sul primato della persona umana rispetto al profitto e all’efficienza.

Sostenere la chiusura domenicale dei negozi, allora,  per il magistero di Francesco e  della Chiesa  non significa esprimere una posizione interessata di retroguardia, tutta rivolta a consentire maggiori utenti alla messa della domenica. Se così fosse, la Chiesa non avrebbe ancora capito che i valori non si proclamano e non si difendono mediante il ricorso alla legge, mediante il ricorso a improponibili misure proibizionistiche. I valori si vivono nella quotidianità e attraverso i comportamenti concreti si da loro testimonianza. Capaci di essere sale e lievito e non legislatori e giudici. Questo è il compito cui chiama la speranza cristiana.

Sostenere la chiusura domenicale dei negozi è da considerare, invece, una critica alla concezione individualistica dell’esistenza umana, tutta schiacciata sul piano materiale e su soluzioni di tipo tecnico. Francesco, profeticamente, ci dice che ci troviamo di fronte ad un problema che è prima di tutto antropologico e spirituale. Ci dice che l’economia non è una macchina, di cui gli uomini sono gli ingranaggi, che va semplicemente resa più efficiente.  Ci dice che la crescita economica è vera solo se si fonda sulla crescita sociale, culturale e spirituale delle persone. Ci dice che si dà vero sviluppo non quando si hanno più soldi da spendere, ma quando alla crescita economica si accompagna quella civile; di più, quando la crescita economica è prodotta grazie alla qualità del capitale sociale di un Paese e delle sue comunità.

Trascorrere la domenica nei centri commerciali, perché alla fine di questo si tratta, potrà anche essere motivo di soddisfacimento di bisogni e piaceri individuali, tuttavia sarà sempre un tempo sottratto alla cura della propria intelligenza, dei propri affetti, delle proprie relazioni. Insomma, si chiudano i negozi alla domenica attraverso soluzioni ragionevoli non per un improbabile di più di partecipazione alle liturgie, ma per restituire un po’ di umanesimo alle persone, alle famiglie e alle comunità.

 

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