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La data del 25 aprile, festa di San Marco, è la data che segna il limite massimo entro cui può cadere la Pasqua che è sempre compresa fra il 22 marzo (l’ultima fu nel 1818) e, appunto, il 25 aprile (l’ultima fu nel 1943).

 

 

Si dice, infatti “Di marzo ai ventidue/vien la Pasqua più bassa;/d’aprile ai venticinque/ci arriva e mai il passi”. Tale data è considerata infausta: una credenza popolare contenuta in alcuni proverbi pan-italiani.

Per il contadino salentino è una scadenza significativa perché si crede che sia il giorno in cui il frumento appare formato: sciamu a santu Marcu e poi enimu, lu ranu e’ ncannulatu e l’orgiu e’ chinu, andiamo a san Marco (riferimento alla fiera in svolgimento a Caprarica di Lecce e a Ruffano) e poi veniamo, il grano è incannato e l’orzo è pieno.

È un antico modo di dire che, evidentemente, bisogna adeguare alle attuali mutazioni climatiche; quest’anno, per esempio, la pioggia di aprile, quanto benefica alla campagna, è venuta a mancare, contraddicendo il seguente proverbio: abbrile mai rifina, ad aprile che piova di continuo…purché non si verifichino le temutissime, sempre in agguato, “gelate” di san Marco.

Il nome del santo appartiene ad uno dei quattro evangelisti, autore di un omonimo Vangelo, morto a Roma tra il 65 e il 67. Le sue reliquie furono portate da Alessandria d’Egitto a Venezia, di cui è patrono ed a cui è intitolata l’omonima basilica. Egli è simboleggiato dal leone alato che con una zampa stringe una spada e, con l’altra, un libro su cui è inciso un ammonimento di pace: Pax tibi marce Evangelista meus, Pace a te, Marco, mio Evangelista.

Se a Venezia, ogni 25 aprile, si offriva un bocciolo di rosa a tutte le fanciulle (non so se la tradizione continua), a Lecce, il Capitolo della cattedrale usava recarsi in processione alla chiesetta di San Marco (in Piazza Sant’Oronzo) e deporre fiori sull’altare.

Di gusto cinquecentesco, l’anzidetta chiesetta presenta un delicato rosone e un bellissimo portale - il tutto attribuito allo scultore leccese Gabriele Riccardi -, sui cui, inserito in una lunetta, campeggia il simbolo della Repubblica Veneta. L’edificio attesta la presenza di una colonia di mercanti veneti che la commissionò e volle posizionarla nella piazza (allora detta “dei meranti”), dove svolgeva fiorenti commerci nelle tipiche botteghe sotto le “capande”.

San Marco è protettore degli interpreti e dei segretari.

 

 

 

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