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Sul vescovo Michele Seccia, sono pervenute delle testimonianze che colgono molto bene il suo vigore spirituale, culturale e pastorale, vigore che se nelle prime due diocesi di San Severo e di Teramo-Atri è stato sorretto dalla sua giovane età, si è manifestato in tutta la sua integrità anche nella diocesi di Lecce, nonostante l’avanzare degli anni, grazie a delle costanti che come fili d’acciaio hanno sorretto il suo pensare e il suo agire: un forte senso del mistero dell’Incarnazione che dalla persona di Cristo si prolunga nella vita della Chiesa e di ogni suo membro.

 

 

“L’acqua unita al vino…” parole della liturgia eucaristica che mons. Seccia ripete con frequenza perché convinto che si avverano nell’esistenza di ogni prete che celebra la santa messa e in ogni credente che vive la liturgia; mistero dell’Incarnazione che ha tracciato in profondità la sua umanità nella dimensione dell’umiltà e della cordialità.

Un episcopato il suo che ha incrociato situazioni di particolare gravità: dal terremoto alla pandemia. La sua instancabile azione di vicinanza alle popolazioni terremotate è stata in più occasioni testimoniata dagli amici di Teramo. Dopo poco più di un anno dal suo arrivo a Lecce, mons. Seccia ha dovuto far fronte, come tutti i vescovi, alla grave situazione causata dalla pandemia; esperienza inedita per la sua drammaticità e per le conseguenze imprevedibili sul piano sanitario, economico, sociale e pastorale.

In questa atmosfera di tristezza e paura, mons. Seccia non ha messo da parte il motto che si è scelto all’inizio del suo episcopato: “Adiutor gaudii vestri”, anzi ne ha fatto la stella polare che gli ha consentito di porsi con realismo cristiano nel difficile momento storico, evitando una esagerata prudenza e un irrazionale ottimismo nel suo parlare e nel suo agire. Le doti di pastore solerte ma non invadente, che ascolta e incoraggia, che sa essere presente senza escludere nessuno, si sono rivelate con maggiore trasparenza proprio in questo drammatico periodo pandemico.

L’attenzione ai poveri si è intensificata e nell’azione personale e, dietro suo impulso, nell’operato delle parrocchie, in particolare della Caritas diocesana e della Casa della Carità, dove egli stesso qualche volta ha distribuito con le proprie mani il pranzo da asporto a più di 150 fratelli e sorelle che, ogni giorno ne fanno richiesta. Nei giorni del più duro lockdown ha mantenuto quotidianamente i contatti con migliaia di fedeli tramite il collegamento con Portalecce e Telerama, attraverso la celebrazione dell’eucaristia e la semplice ma incisiva riflessione sulla Parola di Dio, il nutrimento e la medicina spirituale che in tanti cercavano in quei giorni di smarrimento.

L’azione pastorale di mons. Seccia a Lecce è indicata, nelle sue linee portanti, dalle due lettere pastorali indirizzate alla nostra diocesi: un’azione pastorale tra l’Ascolto e la Speranza costruttiva di comunione a tutti i livelli e di operatività nella carità. A suggellare la necessità e validità di queste linee pastorali sono stati due eventi: l’Anno Oronziano e il Cammino sinodale; il primo di carattere locale, il secondo universale.

L’impegno di costruire insieme la Chiesa locale come una comunità di comunità e il presbiterio come una realtà sinfonica e non come la somma di tanti solisti, ha rivelato in mons. Seccia una visione sinodale della Chiesa sin dai primi giorni del suo arrivo a Lecce. Oggi è una priorità della Chiesa universale, così come ha profeticamente intuito Papa Francesco.

Le due lettere pastorali: Ascolta Popolo mio e Chi spera in Dio non resta deluso, la forza della speranza, di cui l’arcivescovo ha fatto dono alla Chiesa di Lecce, sono l’eco di questo bisogno di sinodalità: l’ascolto come movimento sistolico e la forza della speranza come momento diastolico; per camminare insieme stringersi in unità d’intenti, per poter poi aprirsi alla missione.

*vicario generale diocesi di Lecce

 

 

 

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