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Il prossimo 8 settembre l’arcivescovo Michele Seccia celebrerà il suo Giubileo episcopale a venticinque anni dalla sua consacrazione avvenuta nel 1997 nel Palasport di San Severo, Portalecce accompagnerà i lettori nel ripercorrere la vicenda di una persona, di un sacerdote, di un pastore oggi arcivescovo di Lecce.

 

 

Un ritiro diocesano come tanti altri quello del 20 giugno 1997, ma quel giorno si respirava un’aria diversa. L’Arcivescovo del tempo, mons. Carmelo Cassati, ritenne opportuno, dopo le indiscrezioni circolate i giorni precedenti, avviare la mattinata con la conferma della notizia che era già trapelata: il nostro vicario generale mons. Michele Seccia era stato nominato dal Papa Giovanni Paolo II vescovo di San Severo.

Fu un ritiro diverso quello perché respirammo un’aria di gioia, di festa, ma anche di dispiacere perché un fratello maggiore, un amico, chiamato alla successione apostolica nella Chiesa, si allontanava da noi.

Fa bene ricordare tutto questo nel 25º dell’ordinazione episcopale del nostro carissimo don Michele, un ricordo che riempie il cuore di gioia e di benedizione perché un vescovo è sempre il frutto di un popolo e don Michele non può celebrare adeguatamente il suo anniversario se non ripensando con affetto alla fede dei tanti che lo hanno accompagnato nel tempo.

«Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. Adempirò i miei voti al Signore, davanti a tutto il suo popolo» (Sal 116,12-14). Ci sono tanti motivi, dopo 25 anni, per rendere grazie al Signore.

Grazie perché lo ha scelto senza alcun suo merito per essere sacerdote e sacerdote incardinato nella diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie dove ha esercitato diversi uffici, non da ultimo quello di parroco della parrocchia Spirito Santo in Barletta dal 1985 al 1992.

Un ufficio da lui amato e vissuto con energia tanto che non è stato il suo partire come vescovo ad allontanarlo dalla comunità che ha continuato a sentire vicina avendola formata con un lavoro indefesso.

Grazie per la robusta formazione ricevuta nei diversi seminari e in particolare nel Seminario Francese di Roma, formazione che lo ha sostenuto nell’esercizio del ministero sacerdotale in situazioni a volte difficili.

Grazie per l’elezione e ordinazione a vescovo che ha vissuto con trepidazione, consapevole della grave responsabilità affidatagli dalla grazia del Signore.

Dovendo scegliere un motto per il suo episcopato, ha scelto il versetto paolino «collaboratore della vostra gioia» (2Cor 1,24). Un programma teologico e pastorale, una chiave di lettura e interpretazione della storia della salvezza.

Ritornando al giorno della sua nomina a vescovo di San Severo, piace ricordare che la notizia non giunse del tutto inaspettata. Avevamo conosciuto don Michele, le sue qualità e da tempo voci presagivano una possibile nomina vescovile. Questa giunse e pose tutti in stato febbrile per vivere al meglio questo evento.

L’8 settembre 1997 fece il suo ingresso nella diocesi di San Severo con un gesto molto bello che fu quello di celebrare l’ordinazione proprio nella diocesi che gli veniva affidata. Così ha imparato ad essere vescovo, dalla fede e dalla vita condivisa con il popolo e con la sua storia. Si è sentito figlio della Chiesa di San Severo e insieme suo custode e guida.

L’ordinazione episcopale ha inserito la grazia particolare dello Spirito Santo nella sua umanità, lo Spirito lo ha assistito in tante circostanze, nelle quali è rimasto sé stesso, con la sua umanità, il suo carattere, le sue qualità, ed insieme i limiti e i difetti.

I circa nove anni di servizio episcopale a San Severo sono stati molto intensi, ha lavorato con impegno, per conoscere la realtà viva delle parrocchie e della vita civile e sociale del territorio della Diocesi, in un contatto vivo con le persone, specialmente con gli ultimi.

In tutto questo non gli è mancata l’opportunità di continuare a mantenere rapporti con le varie persone con le quali ha condiviso il percorso umano e il servizio in parrocchia. Ogni occasione è stata sempre opportuna per ritornare “a casa” e per rinverdire il passato che nel tempo è diventato per lui un trampolino per vivere bene il presente in vista del futuro.

Il 24 giugno 2006 Papa Benedetto lo nomina vescovo di Teramo-Atri. Anche nella nuova realtà, come ricordi indelebili nel tempo, davanti agli occhi passano fotogrammi custoditi gelosamente nel cuore dei tanti che gli sono stati accanto.

Non sono mancate le prove: terremoto, frane, ricostruzione di chiese… Ma non è venuto meno l’impegno verso gli ultimi. Desidero solo ricordare l’attenzione che, in questa diocesi, don Michele ha posto nei confronti della Fondazione “Piccola Opera Caritas” di Giulianova.

Il 29 settembre 2017 Papa Francesco lo nomina arcivescovo metropolita di Lecce. Un ritorno in Puglia. Forse con le braccia più deboli ma con una maturità più solida e con gli stessi palpiti del cuore, per la gente del Salento e per ciascuno.

Dal giorno in cui, dopo 46 anni di vita, don Michele ha lasciato la città di Barletta, posso dire che è iniziato per lui un viaggio, nel quale ha portato in valigia il desiderio di spendere tutte le energie nella terra che Dio gli avrebbe indicato alla stregua del grande patriarca Abramo.

Don Michele proviene da una famiglia fatta di essenzialità ed è lì che ha conosciuto il valore della fatica diuturna. I genitori gli hanno trasmesso non solo il timore di Dio ma soprattutto una fede semplice, robusta che si è sempre espressa nel rispetto degli altri e nell’attenzione verso tutti.

Il suo primo seminario, come per tanti di noi, è stata la famiglia, in particolare mamma Melina, il cui ricordo, ancora oggi, riempie di gioia unitamente a quanto lui ha vissuto con i suoi fratelli e i suoi zii.

Prima dell’ordinazione episcopale, ha vissuto con gioia, nella diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, per 20 anni la sua missione di prete che è sempre stata una consegna generosa a Cristo e ai fratelli. Con questo spirito, ha portato avanti il compito di formatore nelle diverse realtà nelle quali la provvidenza lo ha posto.

I nomi e i volti di quanti ha servito sono scritti nel suo cuore, nella sua vita e non sono semplici ricordi del passato.

Ormai da 25 anni per don Michele la sua famiglia è il popolo che Dio ha scelto per lui. Un popolo fatto di famiglie, giovani, bambini, anziani e soprattutto fatto della custodia delle tante speranze che ognuno porta gelosamente nella sua vita e nel suo cuore.

L’esercizio del ministero di un vescovo, è impegnativo, nel “governo” quotidiano della diocesi, dove non si ha a che fare con le opinioni, ma con le persone. Ma è anche forte il bisogno di rendere tangibile che quello che si fa e decide lo si fa e decide per amore, ricercando cioè il bene sia della comunità sia delle persone interessate. Questo mi è parso di cogliere sempre nelle parole e nel pensiero di don Michele.

Questo ritengo che l’abbia appreso anche dal grande amore che lui ha dato e ricevuto dalla sua esperienza di parroco e in concreto dalle persone che ho conosciuto quando gli sono succeduto nel servizio di parroco.

Questo è stato ed è un aiuto immenso, un sostegno, che non può essere dimenticato. A volte è più facile, fermarsi alle tensioni, che non mancano, e non vedere abbastanza tutto il bene di cui un vescovo è fatto oggetto, molto al di là delle proprie doti e dei meriti personali. Questo amore si esprime anzitutto nella preghiera: voglio ricordare tutta la preghiera che ha accompagnato e sostenuto don Michele in questi anni!

Per un vescovo, come per ogni sacerdote, i rapporti con il popolo sono preziosi e doverosi, fanno parte a pieno titolo della missione. Don Michele ha trovato il tempo per coltivarli e, se il Signore vorrà, potrà dedicare più tempo nel futuro.

Un augurio: lo assista sempre la Mamma celeste, lo illumini il volto del Risorto. A chi è solo, la Vergine Maria, lei che continua a generare i suoi figli, asciuga le lacrime, ed è sempre segno di consolazione e di sicura speranza.

Ogni vescovo nel suo tempo e nelle sue situazioni di vita e di ministero, ha bisogno di almeno un poco di fortezza e di quella verità che in ultima analisi è Cristo stesso, che conta molto di più di qualsiasi opinione.

 

 

 

 

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