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In occasione del 70° compleanno (il 6 giugno) dell’arcivescovo Michele Seccia che la Chiesa di Lecce festeggerà in tre diversi momenti (GUARDA SOTTO), Portalecce ha pensato di raccogliere frammenti della sua vita attraverso i racconti e i ricordi di chi lo ha conosciuto da vicino. Brevi istantanee che ripercorrono la vita di un ragazzo, di un sacerdote, di un vescovo che ancora oggi continua a scrivere pagine di vita evangelica.

 

 

 

Ho accolto veramente con entusiasmo la possibilità di essere vicino al nostro vescovo il giorno del suo settantesimo compleanno con una mia personale riflessione.

Il nome di mons. Seccia come arcivescovo di Lecce cominciò a circolare molto tempo prima di quel 29 settembre del 2017, ma l’attesa per il suo ingresso nella nostra arcidiocesi, come ricorderemo, non è stata per niente breve a causa della prosecuzione dell’impegno del vescovo nella sua precedente sede teramana colpita dal noto terremoto e da altri eventi atmosferici nel momento in cui si vociferava il cambiamento.

Mons. Seccia ritenne di postergare il suo ingresso nella nuova diocesi leccese per essere vicino alla sua gente, in un momento di grande sofferenza. Questo gesto del nostro pastore mi colpì molto, incuriosendomi sulla sua persona, in quanto l’aver preferito restare ancora nella sua diocesi per fronteggiare la situazione di grande difficoltà e di disagio che caratterizzava quel contesto sociale e territoriale, rispetto ad una nuova destinazione sicuramente con minori criticità, se non altro di natura esogena, faceva emergere, già da allora, il suo modo di essere di pastore della gente e degli ultimi.

Cominciai a curiosare su internet per trovare notizie su mons. Seccia e soprattutto a chiedere ad amici barlettani con il fine di capire chi fosse realmente il successore di mons. D’Ambrosio la cui permanenza nella guida della nostra arcidiocesi veniva quindi prorogata.

Alcuni amici barlettani residenti in via Bonanni, che avevano conosciuto mons. Seccia nella parrocchia dello Spirito Santo, mi dissero che era un prelato che non amava apparire e quindi non vi erano molte notizie sulla sua persona. In costoro però erano ancora vivissimi i ricordi di un sacerdote con un grande amore verso il prossimo.

Da queste testimonianze, dai suoi discorsi reperiti su internet e dai suoi scritti cominciai, prima ancora di conoscerlo, a farmi un’idea sempre più nitida ed in perfetta sintonia con quella mia prima impressione, di pastore degli ultimi, scaturita dalla sua vicinanza ai fedeli teramani nel momento di grande bisogno.

Poi finalmente avvenne la conoscenza personale consentitami in ambiti alquanto ristretti da cui, pur in presenza di qualche veduta confliggente, è emersa una grande sintonia ed una mia grande ammirazione verso il suo modo di essere silenzioso, non appariscente e tutt’altro che altezzoso - come potrebbe apparire ad un occhio non attento - ed anche qualche volta impulsivo, come lo stesso vescovo nel discorso di congedo dalla diocesi di Teramo ebbe a riconoscere.

Mons. Seccia fu con me, sin dall’inizio, molto diretto e schietto ricordandomi lo stesso tratto caratteriale del suo predecessore, mons. Ruppi, da me molto amato e che mi volle nell’impegno confraternale.  Mi disse chiaramente ciò che non condivideva esprimendo, però, nel contempo, anche in contesti pubblici, parole di apprezzamento su ciò che era stato fatto di buono contestualizzando, con oggettività, ogni situazione e soprattutto raffrontandola al punto di partenza.  Ritenne inizialmente di avvalersi ancora del mio contributo apportando poi dei cambiamenti che accolsi di buon grado, sia perché non sarei più riuscito ad assicurare con la stessa intensità e dedizione il mio impegno in quanto spesso fuori città per impegni professionali, sia perché, penso, che ogni cambiamento porti effetti benefici ed è giusto che avvenga per raggiungere nuove sfide e nuovi traguardi per il bene della nostra amata Chiesa.

Mons. Seccia ha saputo integrarsi con straordinaria rapidità nella sua attuale e nostra arcidiocesi e conquistare, con il suo viso buono e tranquillizzante, specchio del suo modo di essere, noi tutti vicini alla Chiesa ed anche coloro che non dimostrano particolare attaccamento alla vita ecclesiastica.

Ora il compimento del  settantesimo anno del nostro amato arcivescovo, avviene  tra noi, popolo della Chiesa di Lecce,  ed è un evento di grazia ed un motivo di gioia perché, è pur vero che ogni compleanno è il riflesso del tempo che fugge facendo sentire la nostra fragilità umana,  ma ugualmente il tempo è il sigillo della fedeltà e della speranza quindi, è la vita che avanza ed è anche inizio del tempo ancora da trascorrere insieme per ancora lunghi anni uniti al nostro amato pastore alla guida di questa nostra Chiesa  per poter apprezzare ancora a lungo quella sua natura che lo contraddistingue di prelato discreto e silenzioso ma buono ed amante non dei potenti ma solo di chi soffre.

Concludendo, devo dire che, a distanza di appena tre anni dal suo ingresso, traspare in lui lo stesso intenso amore e lo stesso attaccamento alla nostra Chiesa di Lecce che mons. Seccia ebbe a dimostrare al momento del congedo dalla diocesi di Teramo, dopo i lunghi undici anni di guida della stessa; ed è proprio questo suo attaccamento che mi ha conquistato e me lo ha fatto amare prima ancora che avvenisse la nostra conoscenza diretta dalla quale ho poi potuto apprezzare con maggiore cognizione il Suo modo di essere pastore e guida del popolo di Dio. 

 

 

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