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“Dio nasce bambino perché vuole essere accolto, Dio nasce nelle imperfezioni della storia, perché le nostre storie imperfette potessero avere il respiro creativo dell’Onnipotente che è amore”.

 

 

Così l’arcivescovo Michele Seccia in uno dei passaggi centrali dell’omelia (LEGGI IL TESTO INTEGRALE) pronunciata in una cattedrale gremita di fedeli, ieri sera durante la solenne Veglia di Natale. Hanno concelebrato con mons. Seccia: il vescovo Cristoforo Palmieri, il vicario generale don Vito Caputo, il vicario episcopale per la carità mons. Nicola Macculi. Ha assistito all’altare il diacono Mario Renna mentre il maestro delle celebrazioni episcopali, mons. Giancarlo Polito ha guidato il servizio liturgico prestato dai seminaristi teologi della diocesi.

“Ma, cos’è il Natale? -  si è chiesto il pastore -. Non corriamo il rischio di accontentarci di ciò che l’abitudine ci consegna, o ancora più grave, non lasciamoci sedurre da ciò che il mondo frenetico propone per questa festa dimenticando il vero protagonista di questa festa: Gesù. Non adempirei ai miei doveri di vescovo e padre della Diocesi, se oggi mi limitassi a farvi gli auguri, a sorridere, a distribuire carezze, a stringere mani, sottraendomi da ciò che il Natale con la sua tenera forza porta con sé, tradirei Nostro Signore se non vi mettessi in guardia dal rischio della distrazione, che oggi distoglie il nostro sguardo da quel Bambino e lo fa posare sul suo contorno e tante volte sul suo contrario”.

Infine, l’arcivescovo ha posto l’accento sulle fragilità del mondo, sui problemi dell’uomo e del nostro territorio: “In quella mangiatoia deponiamo tutte le nostre contraddizioni, le miserie che fanno parte del nostro vivere, tutti i drammi che si consumano davanti i nostri occhi e per i quali non abbiamo fatto abbastanza per evitarli. In quella mangiatoia, come in una patena, poniamo tutte le ferite dell’umanità: le donne vittime della violenza, tutti i bambini non nati ai quali è stata negata la possibilità di provare a rendere il mondo un posto più accogliente, tutte le vittime della guerra, coloro che non hanno voce e si dissolvono nell’ l’indifferenza della gente, chi ha perso la speranza, chi non riesce a guardare al domani con entusiasmo, gli ammalati, i soli, i deboli”.

“Che il Natale non sia una festa facile - è l’augurio finale -, spogliamoci dunque della finta tenerezza, sdolcinata e a buon mercato, di una favoletta che ci raccontiamo per acquetare gli animi, fermiamoci come la stella, davanti a quella grotta e adoriamo con stupore quel Bambino che è nato già condannato dai nostri peccati, dimostrazione suprema di un Dio follemente innamorato dall’umanità tanto da diventare egli stesso umanità. Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza. Amen”.

 

Racconto per immagini di Arturo Caprioli.

 

 

 

 

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