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Di brutture, nel mondo, non ne mancano mai. E volenti o nolenti ne siamo spesso spettatori, forse né più, né meno di altri periodi.

 

 

La memoria li continua a conservare e noi non riusciamo a distaccarci: bambini (anziani, donne, e non solo) uccisi o violentati, in Israele come nei territori palestinesi o in Ucraina e altrove; bambini abusati ovunque; poveri e immigrati esclusi, maltrattati e umiliati; delinquenti della politica e della mafia che rubano a più non posso; la natura saccheggiata e distrutta (al di là dell’ipocrisia della Cop28) e via discorrendo. In questi giorni pensieri ed emozioni sono spesso catalizzate dalla serie dei femminicidi. Quante brutture! Come per tutte le brutture i perché spesso sono sorpassati dalla fretta di dimenticare e ipocritamente affidare a scuola, università e famiglie la responsabilità di educare. Ma funziona in questo modo? Non penso proprio. Le bruttezze che abbiamo dentro vanno estirpate e sanate con un lavoro educativo che non esclude nessuno, ma proprio nessuno: ognuno nei confronti di se stesso e degli altri, verso i quali, ha responsabilità familiari, educative, sociali e politiche.  

Oggi è la festa di Maria Immacolata, colei che noi chiamiamo Tota pulchra, Tutta bella. Cantare, di Maria, Tutta bella sembra quasi una sfida: lei veramente bella, ma noi? Che facciamo con le nostre brutture? Spesso ripetiamo la frase di Fëdor Dostoevskij: la bellezza salverà il mondo. Ma intanto il mondo continua a sfornare bruttezze. La bellezza di Maria sembra tanto lontana, quasi impossibile come modello per l’oggi. Certo non possiamo godere del privilegio di Maria: essere preservati da sempre e per sempre da ogni contaminazione di peccato e bruttezza. Ma possiamo fare un cammino di riscoperta e conferma della bellezza che è in noi. Si, perché in ogni donna e in ogni uomo, anche nei più brutti e cattivi, esistono germi di bellezza, magari soffocati o non sviluppati. E il primo passo è prendere coscienza delle bruttezze che abbiamo dentro: “Se voi dunque che siete cattivi…” dice Gesù ai suoi discepoli (Mt 7, 7). Le abbiamo: vanno chiamate per nome ed estirpate, per dare spazio alla bellezza. La domanda è come “ci voltiamo” o “coltiviamo chi ci è affidato?  Ognuno sa come e ispirandosi a cosa (fedi religiose, principi universali, culture e sensibilità diverse). E non si può scaricare tutto su famiglie, scuola e politica! 

Il brano dell’Annunciazione fa pensare a una giovanissima donna impaurita ma aperta a capire il piano di Dio per lei. Non è pronta, non sa tutto, non è sicura, ma si turba, si interroga, chiede spiegazioni. La bellezza in lei non splende immediatamente, non è un effetto cinematografico. È il frutto di un cammino. È un anelito profondo. È una disposizione interiore. È il desiderio di vivere nella bellezza, cercando di non perderla mai.  

L’ha scritto bene Elisabeth Kübler-Ross: “Le persone più belle che abbiamo conosciuto sono quelle che hanno conosciuto la sconfitta, la sofferenza, lo sforzo, la perdita e hanno trovato la loro via per uscire dal buio. Queste persone hanno una stima, una sensibilità, e una comprensione della vita che le riempie di compassione, gentilezza e un interesse di profondo amore. Le persone belle non capitano semplicemente; si sono formate”. 

 

*presbitero dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto e docente di filosofia politica (Università Gregoriana - Roma)

 

 

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