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Di fronte a fatti di cronaca drammatici come l'efferato omicidio di Giulia Cecchettin, ennesimo femminicidio compiuto da un uomo nei confronti di una donna, molteplici sono le forme di reazione.

 

 

 

C'è quella collettiva, c'è quella personale, c'è chi si chiude nel silenzio, c'è chi sente la sacrosanta esigenza di riunirsi insieme ad altre persone per esprimere sgomento e rabbia. Tutte reazioni comprensibili e più che legittime. Così come tante sono le analisi a cui fanno seguito soluzioni proposte per porre finalmente termine a questi tremendi crimini.

Ed allora, con ancora nelle orecchie e nel cuore le toccanti ma anche a lungo meditate e ponderate parole pronunciate da Gino Cecchettin al termine del funerale dell'amata figlia Giulia, lungi dal voler fare un'analisi sociologica, antropologica o psicologica (non se ne avrebbero neanche i titoli), ed ovviamente lasciando che la giustizia faccia il suo corso, si vuol dare un piccolo contributo di riflessione partendo, per quanto possibile, da un angolo prospettico diverso rispetto alle tante autorevolissime prese di posizione che si sono alternate in questi giorni e che si alternano ogni qualvolta ci si trova di fronte ad un crimine orrendo. Il tutto con il massimo e dovuto rispetto del dolore e della sofferenza vissuti da quanti sono investiti in modo diretto da queste tragedie. Perché un conto è parlarne non essendo coinvolti in prima persona, un conto è viverle sulla propria pelle o su quella di persone care.

Ed un angolo prospettico può essere - citando un noto proverbio - il fatto di essere tutti attratti, in questa come in tante altre drammatiche vicende, dal "dito" anziché dalla "luna". Laddove il "dito" in primo piano rappresenta l'ennesimo efferato atto di violenza sulle donne, mentre la "luna" sullo sfondo rappresenta la violenza più in generale che sta ahimè sempre più permeando linguaggi e gesti all'interno delle nostre quotidianità.

Il gentile lettore potrebbe a questo punto obiettare che, di fronte a fatti drammatici che sembrano non solo non aver fine, ma addirittura in continuo sconvolgente aumento, non rimarrebbe altro che il senso scoraggiante di impotenza celato dietro le giuste e sacrosante forme di reazione. Invece non dev'essere così. Anche se sono duri da affrontare, è in frangenti della storia come questi che si deve dare spazio a riflessioni profonde, ponderate e soprattutto costruttive, proprio come quelle illuminate ed illuminanti del padre di Giulia, che possano fungere da seme gettato in un terreno che prima o poi darà frutti buoni.

Ed allora, rimanendo sulla metafora, il "dito" assume il nome del femminicida di turno, dell'omicida di turno, ma anche del tiranno di turno, del terrorista di turno, e così via. Mentre la "luna" sullo sfondo, incredibilmente e metaforicamente più grande del "dito" in primo piano, ha sempre lo stesso identico nome: violenza, declinata nelle più svariate diaboliche forme. Da Caino e Abele in poi sempre l'umanità ha dovuto fare i conti con la violenza di esseri umani contro altri esseri umani.

Ma ciò non significa che le cose non possano, non debbano cambiare. In che modo? Ricorrendo a delle immagini, in punta di piedi mi verrebbe da dire che è giunto il momento di porre la giusta importanza ed attenzione più che alla stalattite presente in una grotta, al lavoro silenzioso e paziente di ogni singola goccia; più che al Canyon che può essere ammirato negli Stati Uniti, al lavoro di milioni e milioni di anni di ogni elemento della natura che lo crea; più che alla grande barriera corallina finale, ad ogni minuscolo embrione di corallo da cui questa ha avuto inizio; più che al crollo definitivo di un edificio, ad ogni piccola crepa che compare su una parete.

In altre parole, è in questi momenti che, raccogliendo le nostre forze migliori, dobbiamo comprendere che non c'è alternativa all'impegnarsi tutti nel proprio piccolo a scorgere nelle nostre quotidianità i "segni ed i segnali embrionali" di violenza che potrebbero divenire, in un futuro vicino o lontano, delle vere e proprie espressioni di violenza declinata nelle varie diaboliche forme. Perché ogni stalattite ha inizio da una singola goccia, ogni Canyon ha inizio dal lavoro di erosione del vento avvenuto in milioni di anni, ogni barriera corallina nasce da un minuscolo embrione di corallo, ogni crollo di un edificio scaturisce da una invisibile crepa su una parete provocata dai continui movimenti della crosta terrestre.

Questa semplice riflessione - come tutte le tante altre - non riporterà indietro le persone che ogni tipo di violenza ha strappato alla vita. Ma ha il desiderio di gettare un seme di consapevolezza che diventerà un seme di speranza che a sua volta darà vita a relazioni migliori, a giornate migliori, ad un mondo migliore.

Solo così la speranza che il sacrificio di Giulia, e di tutti coloro che ogni giorno soccombono sotto i colpi delle varie forme di violenza, diverrà certezza di futuro buono e giusto per tutti!

 

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