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Drogheda. A pochi chilometri da questa graziosa città irlandese sorge Newgrange, un monumento sepolcrale a forma di tronco di cono, con un diametro di circa 100 metri e un’altezza di 9 metri, realizzato fra il 3.000 e il 2.700 a.C., con materiale portato da centinaia di chilometri di distanza.

 

 

 

Un passaggio lungo poco meno di 20 metri conduce alla camera sepolcrale, nella quale si aprono tre loculi disposti a croce rispetto al passaggio. Chi ha progettato Newgrange è stato così preciso che da 5.000 anni la luce del sole penetra in quella camera una sola volta all’anno, alle nove del mattino di ogni 21 dicembre, giorno del solstizio d’inverno.

Molto prima che la fede cristiana mettesse radici in Europa, l’Europa bramava la luce: al punto da collegare al percorso di risalita in cielo dell’astro della luce la speranza in una vita oltre la morte, perfino in un angolo così remoto delle sue terre. Drogheda fu visitata da San Giovanni Paolo II il 29 settembre 1979, e il Pontefice polacco ne trasse spunto per “ricordare la prima venuta qui, più di mille e cinquecento anni fa, di San Patrizio. (…) non lontano da questo luogo, sulla collina di Slane, egli accese per la prima volta in Irlanda il fuoco di Pasqua, perché la luce di Cristo risplendesse su tutta l’Irlanda ed unisse tutto il suo popolo nell’amore dell’unico Gesù Cristo”.

Dalla periferia al cuore dell’Europa, avvicinandoci al più importante dei solstizi d’inverno - quello così centrale, che da esso contiamo gli anni -, è difficile dimenticare la realizzazione dell’Aracoeli sul Campidoglio, che la tradizione attribuisce all’imperatore Augusto in onore del Figlio di Dio; e il sacro fuoco, che la tradizione vuole per la prima volta acceso da Romolo, mantenuto in permanenza dalle vestali quale simbolo dell’eternità dell’Urbe; fino a quando la fede ha trasferito anche materialmente quella luce nella fiamma che arde davanti a ogni tabernacolo, quale realtà dell’eternità divina. Quella luce ha trasformato i cuori dei singoli e delle comunità, ed è arrivata a risplendere sui popoli europei: ha permesso la sintesi tra la filosofia ellenica, il diritto romano e le culture delle genti germaniche e celtiche, formando l’Europa.

Dopo le migrazioni barbariche l’Europa è diventata la fucina di una civiltà: diverse culture si sono dapprima scontrate, poi sempre più amalgamate, fino ad assumere una fisionomia nuova e omogenea, attorno alla individuazione dell’uomo quale fonte e soggetto di diritti riconducibili alla sua dignità di anima razionale; non sarebbe accaduto senza l’intervento della Chiesa, a partire dai Padri, e poi dalla seminazione di San Benedetto e dei suoi monaci. Solo il Cristianesimo ha potuto svolgere questo ruolo essenziale perché annunciatore della luce della fede, senza essere portatore di una specifica cultura. L’opera di inculturazione promossa dalla Chiesa ha permesso alle diverse tradizioni culturali di entrare in relazione con la medesima fede, convergendo fra loro verso questo centro unificante. Senza il Cristianesimo l’Europa sarebbe rimasta quella che è dal punto di vista geografico, l’appendice occidentale dell’Asia, non avendo né l’estensione territoriale né l’omogeneità etnica di un continente: se è qualificata ‘continente’ è proprio per aver accolto la luce di quella fede, arrivando addirittura, con i limiti umani di chi di volta in volta ha concorso all’opera, a diffonderne i frutti in ogni angolo del mondo. 

Molti scrittori hanno evocato la bellezza delle notti illuminate dalle stelle. Invece le notti di guerra sono solcate da scie luminose di morte - Papa Francesco ha iniziato con queste parole l’omelia della Veglia di Pasqua -. In questa notte (…) lasciamoci prendere per mano dalle donne del Vangelo, per scoprire con loro il sorgere della luce di Dio che brilla nelle tenebre del mondo”. Pochi giorni prima, il 25 marzo, lo stesso Pontefice aveva illuminato la basilica di San Pietro con la consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, riprendendo il gesto compiuto nel 1984 da S Giovanni Paolo II.

LA CONVERSIONE DEI POPOLI

E qui veniamo al punto. Il punto è quanto come cristiani abbiamo inteso o intendiamo cogliere lo straordinario passo del Papa. Pensiamo di archiviarlo, come emerge perfino dai media di area, nei termini di una suggestiva cerimonia di preghiera per la pace nel mondo, o fra Russa e Ucraina, e nulla di più? Quando invece essa fa riscoprire una consapevolezza analoga a quella che ha permesso all’Europa di sorgere, e di sorgere come cristiana?

La consapevolezza è che il messaggio della Vergine ai pastorelli di Fatima nel 1917, di cui è parte la consacrazione della Russia, ha una prioritaria dimensione personale, di richiamo alla conversione del cuore, ma ne ha al tempo stesso, soprattutto nella seconda parte, una parallela dimensione sociale, di richiamo alla conversione delle comunità. È la coscienza che ogni evangelizzazione trasforma, nella distinzione degli ambiti, la fede in cultura e la cultura in scelte politiche. È quindi l’aver ben chiaro che, come l’unità religiosa e culturale ha reso l’Europa un continente, a prescindere dalla geografia, il progressivo allontanamento dalle sue radici cristiane ne ha provocato, e continua a provocarne, la divisione e il conflitto.

UN’IMPRESA POSSIBILE

È fin troppo banale constatare l’Europa come è adesso - quella cosa che si fa chiamare Unione Europea - non è in grado di affrontare la crisi esplosa al proprio interno. Con quale luce essa può rischiarare le tenebre della guerra se fin dalla sua costituzione ha deciso di spegnere dentro di sé la fonte della luce vera? Non suona ipocrita meravigliarsi oggi per il conflitto in corso, quando alle spalle ci sono le esperienze belliche devastanti della Bosnia, della Serbia, del Kosovo, ci sono i traffici di armi e di droga con l’Albania e di esseri umani con la Moldavia, ci sono i rifornimenti di armi a cielo aperto dai mercati della Transnistria, ci sono le scorribande finanziarie e le spoliazioni di ‘oligarchi’ di varia provenienza? Hanno attraversato gli ultimi trent’anni e li scopriamo adesso? In che cosa e quando questa Europa, nei suoi territori o in quelli che volevano esserne parte, è riuscita a venire a capo di tutto ciò? E come pensa di affrontare il costante arrivo dei migranti e la loro integrazione, se rifiuta tematicamente qualsiasi elemento che possa amalgamarli, a differenza di quanto avvenuto con tanta fatica agli albori del c.d. Medioevo?

Il punto è capire se oggi in terra europea esiste una generazione di cristiani che voglia dare senso e attualità a quella luce intuita e agognata cinquemila anni fa da chi ha costruito Newgrange; che svolga la missione di declinare nella vita culturale, sociale e politica la Consacrazione del 25 marzo, quale atto fondante di una rinnovata radice cristiana - è questo il significato di una consacrazione - da conferire ai popoli europei, e all’Europa nel suo insieme; che, consapevole che è un’impresa possibile, essendosi già realizzata in secoli che i maestri delle tenebre definiscono ‘bui’, la persegua senza sconti o cedimenti.

Mehr Licht!, implorava Wolfgang von Goethe sul letto di morte, e non perché gli si fossero consumate le candele. ‘Più luce!’ è ciò di cui ha bisogno l’Europa di oggi, e non perché sta finendo il gas russo. Come le vergini del tempio di Vesta, i cristiani hanno il compito di portare la luce. Direi di più, poiché quella di Cristo è la luce vera.

(tratto da “Tempi mensile”, maggio 2022)

 

 

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