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“La fragilità deriva dal fatto che non siamo abituati al nuovo”, così assuefatti a fare solo ciò che ci dicono di fare. Su questo asse si sono articolate le conferenze di mons. Giuseppe Lorizio il 21 e 22 marzo scorsi presso la basilica dei Salesiani a Lecce, alla presenza dell’arcivescovo Michele Seccia.

 

 

 

Professore ordinario di teologia fondamentale e coordinatore delle specializzazioni in teologia fondamentale e teologia interconfessionale alla facoltà di teologia della Pontificia Università Lateranense, ‘don Pino’ è un “gigante del servizio alla riflessione teologica” come si è espresso il vicario generale mons. Luigi Manca.

Come essere efficaci in un cammino sinodale che sia generativo della Chiesa del terzo millennio?

Analizzare le fragilità consente di penetrare il senso profondo di questo sinodo e il suo autentico spirito; da qui può nascere un conflitto il quale è via per una consapevolezza ed una percezione diversa di sé che introduca a riscoprire il fine comune di una chiesa che sappia camminare insieme ed unita.

Nel primo incontro (GUARDA), sviluppato sulla traccia della “Fragile armonia della sinodalità in stile familiare”, il prof. Lorizio si è rivolto essenzialmente ai presbiteri invitandoli ad ascoltarsi maggiormente e a pensare ad una Chiesa che non sia più di potere ma di servizio, cogliendo le opportunità offerte da questo Sinodo anche per rieducare il popolo di Dio al culto popolare: il deposito di tradizioni e devozioni va purificato da espressioni di idolatria perché torni ad esprimere il valore interiore della fede.

Tutto ruota intorno al modello della famiglia: dialogare senza una legge di maggioranza, ma nella convinzione che ciascuno possa esprimersi con il suo apporto di verità; la fragilità della salute e della pace che stiamo sperimentando ci interpellino sul valore di ciascuno in quanto ciò che è, come avviene nella famiglia; considerare i non credenti come diversamente credenti accogliendoli nella famiglia umana; educare alla verità, rievangelizzando al primo annuncio, percorso senza il quale non si può procedere nella trasmissione della dottrina.

“La sinfonia della verità richiede lo spartito del Vangelo”: e da questa verità è stata approfondita l’analisi della seconda traccia: “Sinodalità: rinnovare l’alleanza infranta” (GUARDA).

Solo in Cristo si realizza la piena alleanza: fragilità e divinità si ricompongono, morte e sofferenza trovano senso nella sua resurrezione, infinito e finito assumono la forma del corpo e dello spirito. Fare sinodo è realizzare la piena comunione come in Lui.

L’uomo deve interrogarsi sulle alleanze che ha infranto, per poterle ricostruire: senza questa ricomposizione il cammino di umanità rischia di interrompersi!

L’alleanza uomo-natura ci faccia riflettere sulla necessità di un uso equilibrato della tecnica che eviti di piegare la natura al nostro volere; l’alleanza uomo-donna ci porti a valorizzare le differenze senza calpestarle; l’alleanza tra generazioni ci sensibilizzi sul debito di vita e sussistenza che abbiamo nei confronti dei giovani; l’alleanza tra popoli ci deve far riflettere sulla nostra identità che non è in contrapposizione con le altre, considerando che le guerre sono tra le potenze non tra i popoli; l’alleanza tra religioni ci faccia scoprire i semi di verità presenti nelle diverse fedi, come arricchimento per la nostra, in un cammino pacifico di convivenza e rispetto reciproci; l’alleanza cittadino-istituzioni ci interpelli sul senso della Stato e sulla nostra responsabilità anche in ambiti più ristretti.

Infine, il tema sinodale fondamentale, l’alleanza Cristo-Chiesa. Cristo continua a parlare, la Chiesa no: perché?

La sintesi degli incontri, come ha chiarito l’arcivescovo Seccia, ruota sulla presa di coscienza della corresponsabilità di laici e clero nell’aprirsi alla Chiesa del presente e del futuro. D’altra parte che cos’è il sinodo, se non questo?

*Referente diocesano Cammino sinodale

 

Photogallery di Arturo Caprioli

 

 

 

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