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Carissimo don Giancarlo. Avevo già segnato sulla mia agenda personale l’impegno di essere presente a Lecce per il tuo Giubileo sacerdotale, ma le presenti situazioni sanitarie lo impediscono.

 

 

Devo, così, rassegnarmi a farti avere per iscritto il mio augurio in attesa di un’occasione propizia che mi permetta di farlo di persona. In quel 1970 San Paolo VI scelse di celebrare il suo 50° anniversario di sacerdozio con l’ordinazione di 278 diaconi e tra quelli, insieme con altri amici del Regionale di Molfetta, c’eri anche tu.

Del sacerdozio, alludendo a Gv 7,38, quel Papa disse che «ogni anno, ogni anniversario ne rinnova il godimento, e ne vorrebbe una conoscenza, una penetrazione sempre maggiore». È un «fiume d’acqua viva», la grazia dell’Ordine sacro, che si espande in fecondità di ministero. Un po’ come nell’antico Egitto il fiume Nilo: Aegyptus terra arida est, sed ubi Nilus fluit, vita operaeque florent. Le scadenze - e la mia giubilare non tarderà ad arrivare - ci aiutano a ripercorrere i terreni dove il Signore ci ha chiesto di lavorare da operai nel suo campo e ci permettono di riconoscere quanto e come siamo stati strumenti docili nella mano del Signore. Per questo insieme con te ringrazio il Signore e mi associo alla tua lode.

Con l’età che avanza è sempre prudente non gettare troppo avanti lo sguardo, ma preferire l’affidamento alla misericordia di Dio sicché, mentre il giovane diacono si esibisce esuberante nel canto dell’Ite missa est, noi sacerdoti anziani preferiamo ritornare all’inizio della liturgia eucaristica con un ben ripetuto Kyrie eleison. Ci accade, dunque, che invece di volere «finir messa», ameremmo piuttosto cominciarla ogni volta daccapo, magari, proprio a motivo della nostra età, ricordando come aveva inizio nell’antico rito: ...Ad Deum qui laetificat iuventutem meam (Sl 43,4)!

Tu, carissimo Giancarlo, che hai posto gran parte del tuo ministero sacerdotale al servizio della liturgia, ricorderai le ragioni per le quali il messale di Pio V dispose che quel Salmo fosse recitato (un dialogo che noi da ragazzi tante volte abbiam fatto col sacerdote) all’inizio della Santa Messa. Tutto s’ispirava a Sant’Ambrogio il quale nella notte pasquale faceva processionalmente avviare i neofiti dal battistero alla mensa eucaristica cantando proprio quel Salmo. Scriveva: «Il popolo lavato e purificato avanza verso gli altari di Cristo… deposte le spoglie dell’antico errore e rinnovato nella sua giovinezza come l’aquila, si affretta a partecipare al banchetto celeste» (De mysteriis VIII, 43).

Oggi, per quanto avanzati negli anni, quelle parole le ripetiamo ancora nel cuore, in attesa di cessarle nell’incontro definitivo con Cristo. Intanto, carissimo, quel Salmo concludilo oggi nella gioia, dicendo al Signore: «ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio». E senti ancora sant’Ambrogio: «Si rinnova come aquila la tua giovinezza. Hai cominciato ad essere una brava aquila, che punta verso il cielo. Una brava aquila attorno all’altare del Signore, perché dove c’è un corpo ci sono le aquile. Quel corpo ha la forma dell’altare, su quell’altare c’è il Corpo di Cristo e le aquile siete voi» (cf. De sacramentis IV, 2)! Con un fraterno abbraccio e tanti cari auguri.

Albano L., 8 maggio 2020, supplicando la Madonna del Santo Rosario di Pompei.

                                                                                                                                                                              *vescovo della diocesi suburbicaria di Albano

 

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