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La riflessione dell’arcivescovo mons. Michele Seccia durante l’omelia in occasione della festa dei giornalisti ha offerto un contributo con chiari riferimenti teologici e deontologici, delineando alcuni rilevanti aspetti dell’identità di chi registra il dipanarsi delle vicende quotidiane alla luce della Parola rivelata e incarnata nella storia.

Nella consapevolezza che la “Parola che si fa carne è luce nelle tenebre” e costituisce un elemento fondante dell’identità del cristiano, il presule ha ricordato la forza salvifica della liturgia per fare sintesi della memoria individuale e comunitaria, storica e personale e per diffondere nella vita concreta la felicità vera. Magari con l’accompagnamento e il sostegno della comunità cristiana: “La luce attira, facilitando l’incontro. Se poi questa luce è già desiderata, la Chiesa aiuta e sorregge tale scoperta e così si genera nei cuori la gioia, si sperimenta il frutto di ciò che si è desiderato scoprire, vedere, toccare, fino a celebrare l’accoglienza di una Parola che si fa carne”.

Frutto pregnante non di un semplice ricordo del passato, ma di ciò che risuona come memoria di un Dio eterno, presente nell’oggi.

Diventa, allora, affascinante, ma anche difficile e problematico il compito di chi deve raccontare la verità nella cronaca del giorno, senza staccarsi da tale luce che anima la lettura degli eventi e che permette di non esaltarsi dinanzi a risultati appaganti e non deprimersi dinanzi a fatti che sembrano andare verso il buio.

Ecco, quindi, la funzione del giornalista che ha la risorsa della fede: raccontare la verità arricchita dal fondamento di riferimenti valoriali nel contesto di un compito profetico che consente una lettura portatrice di speranza, anima di una fiducia che diventa luminosa e apportatrice di unità.

Servo della Parola, il giornalista che accoglie e propone la Parola eterna incarnata nella storia sviluppa poi sempre più la propria identità con una conversione che, superando vane curiosità, si rivolge alla Verità, incontrata nel Cristo, “via verità e vita”.

È il compito, “affascinante e difficile” di servire la verità e la speranza, sottolinea con gratitudine e viva cordialità mons. Seccia verso chi svolge con tanti sacrifici l’attività comunicazione massmediale. 

 

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