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Il momento è finalmente giunto. Una potente via di grazia e di comunione con il cielo è stata schiusa. Nella serata di ieri, mons. Michele Seccia, recatosi in pellegrinaggio al santuario di Sant'Oronzo fuori le mura, ha aperto la prima porta santa dell'anno giubilare.

 

 

 

Ma andiamo per ordine. In duomo, nel pomeriggio l'arcivescovo aveva ricevuto il consueto dono dell'olio (GUARDA), offerto quest'anno dai comuni della vicaria di Monteroni, destinato ad alimentare la lucerna della cattedrale e sostenere i poveri. L'offerta dell'olio è una tradizione davvero eloquente. Del resto, Oronzo è il primo vescovo appulo. Il primo uomo tratto dal paganesimo della propria terra per essere consacrato solo a Dio attraverso un’unzione sacra. Ma non basta. È sufficiente scorrere le fonti per accorgersi come il suo culto sia caratterizzato dall’azione di un olio prodigioso, definito oleum divinae gratiae. Ovviamente è l’olio della lampada che arde in Duomo per indicare l’ipotetico tumulo del martire, grazie al quale, come ricordano le pagine di Carlo Bozzi, avvennero diversi miracoli. Certo, la devozione registra numerosissimi casi di oli benefici, prelevati dalle lucerne accese dinanzi alle reliquie dei santi, alle immagini della Vergine e soprattutto vicino ai tabernacoli eucaristici. Tra questi, a quanto pare, l’olio oronziano, tra XVII e XVIII sec., ebbe una certa fama anche fuori dai confini pugliesi. La testimonianza più importante è quella riportata dall’iscrizione nel Sedile che ricorda come nel 1743 una caraffa di olio miracoloso venne inviata a Napoli, alla corte del re Carlo III, nel momento in cui la capitale era minacciata da una pestilenza.

La fede dei leccesi nell’intercessione del patrono attraverso questo sacramentale risultava così radicata che ancora negli anni ʼ60, al termine delle celebrazioni in cattedrale, era possibile vedere i devoti fare la fila per ungersi la fronte con l’olio miracoloso o intingervi della bambagia da inviare a parenti ed amici emigrati lontano. Anche durante i lunghi anni del secondo conflitto mondiale, i fedeli non cessarono di alimentare la lampada del santo versandovi, grammo a grammo, l’olio sottratto alla striminzita porzione assegnata a ciascuno dal rigoroso razionamento: un eroico atto di fiducia verso il cielo. Mons. Protopapa testimoniava come, in determinati casi, pur ritrovandosi nella concreta impossibilità di rifornire la lucerna, essa rimase sempre accesa. La preghiera dell'arcivescovo al santo è stata come un'implorare la misericordia del cielo perchè abbia termine il terribile flagello della xylella.

Dopo la messa in cattedrale, al termine della quale i giovani hanno ricevuto la benedizione dell’arcivescovo prima di recarsi alla “Capu te Santu Ronzu” per aprire la prima Porta Santa e attraversarla i giovani dell'arcidiocesi che in tantissimi, accompagnati dai parroci, hanno scelto di esserci, nonostante i nubifragi che hanno reso ancor più encomiabile il loro impegno.

Non ci sembra di esagerare affermando che l'evento, pur nella sua semplicità, ha assunto davvero una portata storica. Pochi infatti, tra i ragazzi, conoscevano la chiesa extra-urbana dedicata al patrono ed ancor meno erano quelli che l'avevano visitata. La loro venuta, la loro presenza, nel luogo spiritualmente più significativo della città - il sito dove di fatto nacque la nostra chiesa locale - non poteva che essere emozionante. "Aprite la porta della giustizia, entreremo a rendere grazie al Signore!", così prega la liturgia, accompagnando queste parole con le tre bussate, prima che la porta ruoti sui cardini. Quella del santuario si è spalancata ieri su duemila anni di storia cristiana. Una storia di cui i giovani ne saranno i futuri eredi.

Racconto per immagini di Arturo Caprioli.

 

 

 

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