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Turi si presenta come un’autentica cittadella oronziana anche perché risulta davvero impregnata dall’iconografia del protovescovo salentino.

  

Il primo esempio di questa produzione artistica è la tela (forse mutila) visibile oggi sull’altare maggiore della chiesa sovrastante la sacra grotta definita “il Cappellone”. È a tale dipinto che, con tutta probabilità, si riferisce la Distinta Relazione, un testo settecentesco redatto da tre sacerdoti del posto al fine di illustrare il culto locale di Sant’Oronzo. In quel documento si narra infatti come il popolo fosse solito, la sera del 25 Agosto, condurre in processione, dalla matrice all’antro, un’effigie del patrono affinché fosse venerata per l’intero giorno successivo.

Anche se ritenuta molto antica, la tela dovrebbe risalire alla seconda metà del ’600, del resto è chiaramente una copia della ben più celebre opera di Giovanni Andrea Coppola custodita nel duomo di Lecce. L’anonimo pittore rimase però distante dal suo modello: il santo, virile e barbuto, ha un aspetto quasi rustico mentre viene investito da una luce celeste e due angeli gli sorreggono il piviale. Questo medesimo tema è ripreso anche dal gruppo scultoreo policromo dell’altare ipogeo situato all’interno della grotta, che si mostra accompagnato dall’iscrizione “Protexi et protegam A.D. 1760”. Degne di nota sono poi, nella stessa chiesa, la cartapesta del Martirio di Sant’Oronzo (uno dei pochi ex-voto scampati a furti o distruzione, offerto dalla vedova Carenza in memoria del marito caduto nella Grande Guerra) e la scultura in legno di noce, risalente al 1903, del Capo di Sant’Oronzo, opera del contadino artista Giuseppe Palmisano, autore inoltre di diverse edicole sacre nell’agro turese.

Per i fedeli tuttavia il protettore non può che avere il volto severo ma paterno della ieratica statua processionale della Collegiata o del busto ligneo, adorno di fregi dorati e argentei che, a partire dal 1851, viene collocato sul carro trionfale. A tal proposito c’è chi ritiene che questa seconda scultura, almeno in origine, rappresentasse San Sabino, il grande vescovo di Canosa, e che solo in un secondo momento sia stata considerata come un’immagine del martire leccese. Un caso dunque di sovrapposizione iconografica. A questo ricco patrimonio si è aggiunto nel 1990 il monumento di piazza Moro, frutto della profonda devozione dello storico presidente del comitato feste Giammaria Di Venere. Si tratta di una statua (a nostro avviso un po’ troppo statica) in marmo bianco di Carrara, alta oltre due metri, realizzata dall’artista Sauro Bertagnini.

Infine è doveroso ricordare come nella cittadina barese sia stato introdotto, in tempi recenti, anche il culto di San Giusto da parte dell’indimenticato arciprete mons. Vito Ingellis che fece scolpire un espressiva figura del martire, copia del simulacro leccese, e compose un inno che potesse magnificarne la memoria: “San Giusto martire con grande ardore / parlò in Turi del buon Signore; / con Sant’Oronzo testimoniò / l’amor che Dio a noi portò. / Giù nella Grotta, catechizzati, / i nostri avi fur battezzati / e, divenuti veri cristiani, / vi celebrarono i sacri arcani. / Oronzo e Giusto, presso Gesù / intercedete per noi quaggiù. / Vogliam seguirvi tra gioie e pene / sino a raggiungere il Sommo Bene. / Con tutto il cuore leviamo il canto. / Per noi pregate il Tre Volte Santo. / Sia gloria al Padre e al Redentore / ed all’Eterno Divino Amore. Amen”.

Si ringrazia il Dott. Alberto Lenato per la gentilissima collaborazione.

 

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