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Per i devoti, Sant’Oronzo rappresenta molto più di un “congiunto” o un “affetto stabile”, volendo usare espressioni alquanto gettonate nelle ultime settimane.

 

 

 

Esiste un vincolo di familiarità così caldo e forte che la sola sua immagine, il parlare di lui, il suo stesso nome suscitano, in quanti lo amano, sentimenti lieti e ricordano la santa appartenenza alla religione cristiana. Con tale spirito, Turi si appresta a fare memoria, per quanto possibile con le vigenti limitazioni, dell’apparizione del martire alla grotta (LEGGI QUI).

Era la primavera del 1726. Da circa un biennio sedeva sul soglio pontificio il gravinese Benedetto XIII. A Turi erano in corso dei lavori al convento di San Giovanni Battista. Vi partecipava anche un certo frate Tommaso da Carbonara che, saputo come l’antro nei dintorni della cittadina avesse un tempo offerto rifugio al nostro patrono, non mancava di venerare quel luogo. Un giorno, mentre era raccolto in preghiera, si ritrovò dinanzi Sant’Oronzo in persona il quale confidò come quella grotta gli fosse davvero cara. Anzi, la considerava una propria casa. Tuttavia rimproverava ai turesi la scarsa devozione. Per questo ordinò al frate di convocare il popolo per una preghiera solenne e di condurre lì una croce. Il povero religioso, sconvolto dall’apparizione, tenne invece segreta la cosa. Ma ecco che, trascorso qualche tempo, gli giunse la triste notizia di avere la madre in fin di vita. Si rivolse allora con fiducia al santo e Oronzo, manifestatosi ancora, promise d’intercedere presso Dio a patto che si realizzassero le sue richieste. Il monaco assicurò il proprio impegno e quale non fu la sua gioia, una volta accorso al capezzale della madre, nel trovarla guarita. Radunò dunque i sacerdoti e i fedeli, riferì l’intera vicenda e finalmente, il 3 maggio, portò alla grotta un bellissimo crocifisso, quello che oggi si venera nei pressi della monumentale scalinata interna alla chiesa extraurbana.

Come valutare tale racconto? Innanzitutto, esso è riportato dalla Distinta Relazione. Un testo, non privo di tinte popolaresche ma comunque attendibilissimo negli elementi principali, in cui è illustrata la storia del culto oronziano turese. Questo documento risale al 1757: appena trentuno anni dopo i fatti sopra narrati. È quindi assai improbabile che l’intera vicenda di fra Tommaso possa aver subito qualche trasfigurazione leggendaria in così breve lasso di tempo. Da notare poi come gli eventi avvengano appena due anni dopo la Cronica di Padre Bonaventura da Lama (pubblicata nel 1724) che già accenna al sacro antro. L’elemento più rilevante è però, a nostro giudizio, un altro. È nella data del 3 maggio. L’antico calendario cattolico fissa infatti per quel giorno la memoria del ritrovamento della santa croce da parte dell’imperatrice Elena, madre di Costantino. Non può essere un caso che, proprio in quella data, si ottemperi all’ordine del martire di avere una croce presso la grotta. Il significato è profondo: il culto dei santi non provoca affatto un allontanamento anzi riconduce all’adorazione di Cristo.         

               

 

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