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Gli organi di stampa hanno messo in evidenza la straordinaria difficoltà del nostro Paese nel mettere a terra i circa 200 miliardi di euro derivanti dal PNRR. Una cifra enorme, mai vista e che mai vedremo di nuovo.

 

 

 

All’ eccezionalità del finanziamento da parte dell’UE, fa riscontro, per altro, la serie di riserve messe in campo dalla Corte dei Conti che, come ha autorevolmente sostenuto Sabino Cassese, dovrebbe intervenire ex post e non ex ante, dovendo intervenire sul consuntivo delle cifre impegnate.

Ma rimane aperta la questione della difficoltà che l’Italia sembra avere nell’utilizzo dei fondi ottenuti, praticamente da sola rispetto agli altri Stati membri, beneficiari degli stessi fondi.

E qui emerge la questione della “povertà educativa”, che ci pone di fronte alla democrazia degli incolti, che “non sanno leggere la realtà”.

Non siamo mai stati il Paese della complessità, ma oggi assistiamo ad una banalizzazione impressionante.

Mentre ci vengono richiesti progetti di una certa complessità, non si riesce a guardare oltre i tre mesi che abbiamo di fronte: ci limitiamo a vivere alla giornata.

La nostra è una crisi culturale, che ha visto la scomparsa del gusto dell’approfondimento e del senso della fatica della comprensione, prima, dei problemi e della loro soluzione, poi.

Non ci è ancora chiaro che un Paese vale per quello che sa e che, di fronte alla povertà educativa, il primo investimento dovrebbe riguardare le istituzioni scolastiche.

Una democrazia degli incolti, che non possiede gli strumenti concettuali per interpretare ciò che ci circonda, non ci porterà lontano.

E non ci consente nemmeno di rispondere, in maniera adeguata, alle procedure progettuali e strutturali che ci vengono richieste dal PNRR.

Ci siamo chiesti quali siano le competenze linguistiche, ad esempio tra i dirigenti e i funzionari della pubblica amministrazione? E quanti siano i tecnici capaci di dare seguito, in termini esecutivi, ai progetti che, in maniera molto stentata, si cerca di realizzare?

Questa del PNRR è una sfida che, se non saremo capaci di superarla, potrebbe lasciare sul campo “morti e feriti”, esponendo il Paese al dileggio dell’intera Europa.

Ma ci farà anche toccare con mano, l’inadeguatezza dei nostri sistemi formativi, troppo spesso trascurati.

Cosa dovrà ancora accadere, per far comprendere all’intera classe politica, l’ineluttabilità di attuare riforme immediate e concrete di tutto il percorso che va dalla scuola dell’infanzia all’università?

 

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