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La Fiera di Santa Lucia, che si svolge a partire dal 13 dicembre - anticipata ormai da anni alla vigilia dell'Immacolata -  nel capoluogo salentino, è una tradizione molto antica.

Basti pensare che già Giulio Cesare Infantino, nella sua Lecce Sacra del 1634, dedica più di qualche riga all’evento, definendolo “principalissimo mercato dove concorrono diversi venditori e compratori con diverse sorti di robbe”.

In origine la manifestazione aveva luogo nei pressi dell’attuale Piazza Tito Schipa, intorno alla chiesetta dedicata alla martire siracusana (ora purtroppo non più esistente perché demolita negli Anni ʼ60) ed era limitata all’unico giorno in cui si celebrava la memoria della santa. Tuttavia, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del XX sec., la sua durata iniziò progressivamente a dilatarsi sino ad abbracciare la vigilia stessa del Natale.

Fu proprio in tale periodo che, secondo la storica Rossella Barletta, la fiera assunse quel tratto inconfondibile che ancora oggi la contraddistingue: il prezioso legame con l’artigianato locale e la presenza soprattutto delle tradizionali statuette da presepe realizzate in cartapesta o terracotta. La prima, che conferiva ai personaggi della sacra natività una straordinaria carica espressiva, si avviava appunto in quei decenni a divenire l’arte-simbolo della città. La seconda invece, di cui pare fossero cultori i barbieri leccesi, avrebbe mantenuto un più basso profilo, rimanendo confinata in circoli molto più ristretti.

          

Nel corso degli anni la fiera venne poi allestita in diverse locations, spostandosi in piazza Libertini, al Castello, in piazza Sant’Oronzo o presso l’ex-convento dei Teatini per tornare al Castello. Per i cosiddetti pupari, risultava una vetrina davvero unica per esporre le proprie realizzazioni.

Ciononostante, questi artisti anziché essere riconosciuti come una ricchezza del territorio, molto spesso si videro bistrattati dalle amministrazioni comunali. Fu così che, negli Anni ʼ80, gli indimenticati Roberto Monaco e Gino Totaro fondarono l’associazione Amici del Presepio-Santa Lucia con il preciso obiettivo di custodire e valorizzare il lavoro dei maestri presepisti leccesi.

A dare voce a tale battaglia culturale furono le riviste La Fera e Lu Puparu, distribuite gratuitamente nei giorni della manifestazione. Sebbene, come ricorda Paolo Vincenti, alcune incomprensioni portarono alla fine del sodalizio ed alla nascita di gruppi tra loro in concorrenza, i nomi dei soci fondatori resteranno per sempre legati alla Fiera di Santa Lucia.

La figura del compianto Gino Totaro, in particolare, ha incarnato uno degli aspetti tipici della leccesità: l’amore profondo e passionale per il presepe e per l’inaudito mistero di fede da esso svelato. Maestro puparo, poeta dialettale capace di tradurre in vernacolo l’intera favola di Filemone e Bauci, tratta dal XIII libro delle Metamorfosi di Ovidio, per farne dono alla moglie per il cinquantesimo di matrimonio (in assoluto la più singolare dichiarazione d’amore che mai un leccese abbia concepito per la propria compagna di vita!), Gino Totaro resta un indelebile esempio di attaccamento gagliardo a quelle tradizioni popolari di cui la fiera è emblema.                  

                                                                                                                         

 

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