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Il suo nome sarebbe rimasto oscuro se ella non lo avesse illustrato, eseguendo la volontà del marito Bernardino Verardi, che nel testamento rogato in Lecce l’11 dicembre 1679 l’aveva incaricata di istituire nel suo palazzo un conservatorio nel quale potessero rinchiudersi senza professare voti, vestire l’abito claustrale e seguire regola monastica le dame di dieci famiglie aristocratiche di Lecce: Verardi, Paladini, Cicala, Personé, Bozzicorso, Bozzicolonna, Venturi, Prato, Guarini e Scaglione.

 

 

 

 

Rimasta vedova e senza figli, Teresa Paladini che, come il marito, che era stato sindaco della città, era nata in Lecce il 1629, riadattato il vasto palazzo urbano del Verardi e ridottolo ad uso di conservatorio, affidò allo scultore ed architetto leccese Giuseppe Zimbalo (1620-1710) l’edificazione della chiesa intitolata a Sant’Anna.

La Paladini dovette occuparsi anche di questioni connesse alla conservazione dell’ente realizzato e si adoperò per sottoporlo alla giurisdizione dell’ordinario diocesano che era allora il teatino Michele Pignatelli, il quale, accettata l’offerta, dettò le regole che le conservanti erano tenute ad osservare.

Nell’amministrazione del pio ritiro si era però introdotto il nipote di Teresa, Gustavo Paladini, che era un ciarlatano e che riuscì a sottrarre al patrimonio del conservatorio la somma di circa dodicimila ducati tra stabili e mobili e, per mettersi al sicuro dalle rimostranze dell’ordinario, circuì la zia, inducendola, nel 1700, a revocare la disposizione con cui aveva posto il conservatorio sotto la tutela del vescovo della città perché fosse dichiarato regio e gli fossero affidati così il governo e l’amministrazione.

Quando Teresa capì in che sorta di malfattore era finita, si affrettò a revocare quanto, per suggestione di quell’imbroglione del nipote, si era indotta a stabilire e ritornò alla decisione iniziale (1702), riconfermando al vescovo la fiducia.

Gustavo non si diede per vinto e, approfittando della dipartita della zia ottantacinquenne (1714), fece istanza al Tribunale affinché fosse ammesso alla carica di pio governatore del conservatorio, manovra che fu sventata dal cardinale segretario di Stato Fabrizio Paolucci che al riguardo informò il nunzio arcivescovo Giuseppe Vicentini.

Della medesima pasta, tuttavia, era fatto il figlio Antonio che, facendosi beffe della clausura, trescava con un’educanda del monastero benedettino di San Giovanni Evangelista e, per vendicarsi del provicario generale Oronzo Gravili, che aveva posto concreti ostacoli alla tresca, nel 1712 osò, con un suo degno compare, violarne il domicilio, aggredendolo e procurandogli lesioni.

Il conservatorio si mantenne all’altezza delle sue origini fino ai primi del secolo e poi decadde; prima della sua definitiva chiusura, gli ambienti dell’edificio, che Emanuele Manieri aveva ristrutturato il 1764 sotto il vescovato di Alfonso Sozy Carafa e dotato del nobile prospetto e della bella scala d’onore, funzionarono da scuola, mentre la chiesa di Sant’Anna fu data ad officiare ai Barnabiti.

 

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