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Agricoltura sociale a chilometro zero, progetti didattici, laboratori di conoscenza e di trasformazione dei prodotti della terra, una tappa del turismo lento. C’è tutto questo e tanto altro nella nuova vita della masseria "La Tenente” di Copertino che è stata appena riconsegnata alla collettività. La missione è quella di coltivare la legalità e l’inclusione in un bene confiscato alla criminalità organizzata. Proprio il ritorno alla terra è l’orizzonte del progetto che segnerà la rinascita della tenuta immersa nel cuore del paesaggio rurale del Salento.

 

 

 

La struttura (lungo la provinciale Copertino-Carmiano) appena restaurata e riqualificata è stata affidata alla Caritas diocesana di Nardò-Gallipoli che guiderà questo nuovo inizio attraversaro la Fondazione Fare oggi: un braccio operativo che farà fruttificare l’antico bene, sottratto alla Scu, nel solco del progetto di economia civile Opera Seme messo in cantiere dalla diocesi salentina. La struttura è stata benedetta dal vescovo di Nardò-Gallipoli, mons. Fernando Filograna, alla presenza anche di tanti ragazzi e delle scolaresche. Con loro il sindaco di Copertino, Sandrina Schito, il prefetto di Lecce, Luca Rotondi, il presidente della corte d'appello di Lecce, Roberto Maria Carrelli Palombi di Montrone, il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone, il presidente del tribunale di Lecce Anna Rita Pasca, l’assessore regionale Sebastiano Leo, la presidente del Consiglio regionale Loredana Capone, il direttore della Caritas diocesana di Nardò-Gallipoli, don Giuseppe Venneri, oltre alle autorità civili, militari e religiose.

Nella tenuta, nel dicembre del 2010, fu consumato un delitto di mafia tuttora irrisolto, ovvero l’omicidio di Lucio Vetrugno, conosciuto come “Lucio della tigre”, proprietario all’epoca della masseria. Il bene è stato poi sottratto al clan, confiscato dallo Stato e assegnato al Comune di Copertino. Infine affidato alla Caritas diocesana tramite un bando di gara a valle della ristrutturazione concretizzata con un finanziamento regionale di 1 milione di euro. Ecco, dunque, una nuova infrastruttura sociale nel cantiere dell’Antimafia, un angolo di Sud che da simbolo opaco dei proventi illeciti e luogo di morte si traforma in uno spiraglio di luce. E ora, in un fazzoletto di natura e bellezza, comincia la sfida più importante: far germogliare davvero il seme di speranza e di futuro piantato in una terra calpestata dalla criminalità.

“Crediamo convintamente nel vantaggio per la collettività - sottolinea la sindaca Schito – che proviene dall’assegnazione a fini sociali dei beni confiscati, anche per il valore educativo che consegue dal recupero e dal riuso di beni sottratti alle mafie e restituiti alla comunità, per promuoverne lo sviluppo sociale ed economico, a beneficio di tutti. La lotta alle mafie necessita di atti concreti  e dev’essere anche una battaglia culturale”.

 

 

 

 

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