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Nella sua Regola, San Benedetto parlando dei monaci dice: “i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani come i nostri padri e gli apostoli”. (GUARDA)

 

 


Il lavoro è dimensione costitutiva della vita monastica perché è anzitutto costitutivo della vita, della vita tout court. Del resto, lavorare è essenziale per vivere. Certo, si lavora per vivere e non il contrario.
«Ora et labora» è un motto largamente diffuso che in due parole definisce il carisma monastico, che a una vita dedicata alla preghiera unisce il lavoro, prima manuale e in seguito anche intellettuale.
Il valore del lavoro per i cristiani si rifà alla celebre affermazione dell’apostolo Paolo: "Chi non vuole lavorare neppure mangi". Un passaggio, quello neotestamentario, ben interpretato da Sant'Antonio Abate che, sempre a proposito del lavoro, in modo particolare di quello manuale, lo riteneva un mezzo per purificare il cuore e la vita del monaco, tenere lontano il vizio dell’accidia, aiutare i poveri e i monasteri più poveri.
Da quando Gesù Cristo si è incarnato, è divenuto uno di noi, si è guadagnato il pane come carpentiere, abbiamo cominciato a capire la nobiltà umana del lavoro. I nostri padri e le nostre madri, dedicandosi a una vita di preghiera, non hanno voluto né potuto separala da questo aspetto, disincarnare Cristo. Hanno capito che lo spirito e la carne debbono formare un tutt’uno, il corpo deve servire lo spirito e i due svilupparsi insieme, come si sviluppa una meravigliosa cattedrale in cui sale il canto della lode e si dispiega il mistero dell’eternità, perché tutti possano coglierne qualcosa. Vivere la povertà religiosa non significa trascurare le realtà umane, significa metterle al servizio dello spirito e ordinarle secondo Dio.

 

 

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