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Millequattrocentosettantasei chilometri separano in linea d’aria Villa Convento da Alessandria d’Egitto. Da una parte un’oscura contrada salentina, dall’altra una delle più splendide città del mondo antico.

L’accostamento è senza dubbio azzardato eppure non incomprensibile se si riflette sulla fede della nostra terra. Del resto, la piccola frazione, insieme con la vicina Novoli, sono i luoghi dell’arcidiocesi di Lecce che più hanno a che fare con l’Egitto. Novolesi e fialuri infatti si riconoscono figli del più celebre santo egiziano della storia, Antonio l’anacoreta. Questa figura rimane per loro ben più di un patrono: è praticamente uno di famiglia, una presenza tangibile e sempre viva. Ma come è sorto il culto antoniano a Villa Convento? Certo, a guardare i riti che caratterizzano i festeggiamenti di fine gennaio si nota subito quanto essi siano analoghi a quelli di Novoli. Anche la bella statua custodita nella chiesa parrocchiale e tanto venerata dai devoti è una copia del magnifico simulacro novolese. Eppure la questione è forse più profonda di quanto non appaia.

Purtroppo la storia di Villa Convento resta ancora oggi tutta da scoprire. A parte il lavoro di qualche lodevole studioso locale, come Gilberto Spagnolo, ben poche pagine sono state scritte sul passato della comunità. Ovviamente non si nutre alcuna pretesa di risolvere la cosa su tali colonne. Tuttavia ci sia permesso di avanzare una semplice ma intrigante ipotesi in merito all’origine del patronato di Sant’Antonio abate sulla frazione.

È noto come intorno alla metà del XVI sec. il casale sorto quasi alle porte di Lecce avesse nome Sant’Onofrio. A questo santo era infatti dedicato l’originario luogo di culto che probabilmente fungeva sia da chiesa dell’annesso convento domenicano, sia da cappella gentilizia della famiglia de’ Mattei, feudataria del territorio, che aveva voluto fondare quel convento. I frati sarebbero stati poi scacciati in seguito alle leggi eversive dell’Ottocento e la chiesa avrebbe subito, nel corso del tempo, molteplici rimaneggiamenti capaci di mutarla del tutto sul piano architettonico. La parrocchia sarebbe invece sorta solo negli anni ʼ20.

Nell’insieme di queste notizie la presenza del nome di Sant’Onofrio è affascinante. Onofrio è infatti un anacoreta egiziano del V sec. che incarna l’archetipo dell’asceta ritornato alla condizione umana precedente alla caduta del peccato originale. Una singolare tradizione iconografica amava rappresentarlo nudo, con barba e capelli lunghi sino alle ginocchia (da qui il curioso appellativo di “eremita peloso” conferitogli dalla devozione popolare). Il significato del suo nome è da intendere come “colui che è sempre felice”. Come Antonio anche Onofrio assurgeva spesso ad emblema del religioso capace di restaurare in sé la primigenia innocenza perduta da Adamo e, in entrambi i casi, il particolare iconografico che veicolava tale concetto era l’armonia goduta dall’asceta con la fauna e l’intero creato. A questo punto è lecito chiedersi: il culto di Sant’Antonio Abate a Villa Convento, derivato dall’influenza novolese, si è forse fuso con quello remoto per Sant’Onofrio, finendo poi per eclissarlo? Un’accurata ricerca storica potrebbe risolvere questo enigma.                                                                                                        

        

 

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