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Come in tutte le dinamiche della nostra vita, occorre scegliere: c’è sempre la solita possibilità di accontentarsi o decidere di osare ed andare oltre.

 

 

A me pare che l’oltre sia proprio la categoria del cristiano, di colui che, innestato in Cristo, non possa accontentarsi, non fosse altro per un dovere di restituzione (qualità molto francescana questa), di battere il minimo e portare avanti il ‘compitino’.

Va oltre chi è curioso di investigare, chi ha ogni giorno occhi di meraviglia, chi è sanamente curioso di saper e conoscere, cosciente e voglioso nel suo sapere di non sapere e con tanta umiltà, muovere sempre nuovi passi sui sentieri della scoperta dell’inaudito, di un amore così folle come quello della Croce, per cui francescanamente piangere perché Esso non è amato.

Quando si scopre che tutto ciò che ti è stato donato non è assolutamente per tuo merito, ma che solo ed esclusivamente la misericordia di Dio, affacciandosi dal cielo, ha voluto per te, allora non puoi star fermo, ma metti in moto mente e cuore - e se serve anche il corpo - per tentare di rispondere positivamente a questa chiamata all’amore.

E questo diventa l’assillo, il dovere principale di un sacerdote, quando non si limita a dispensare sacramenti ed essere mediatore di una grazia che non gli appartiene (…e questo già sarebbe tanto), che non fa della sua vocazione un mestiere, ma che ogni giorno prova a rispondere con il salmista alla domanda: “Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato?” (Sal 115,12).

La dignità sacerdotale diviene all’ora, in prima battuta, rendersi conto dell’enorme dono che Dio ha messo nelle tue fragili mani, per cui continuare a commuoverti - come facesti il giorno in cui quei palmi di mano ti furono unti di eterno balsamo di Grazia - e chiederti: “Cosa offrirti, o Dio, cosa posso darti?” (da un canto popolare).

L’affetto che personalmente mi lega a don Giuseppe Spedicato è consolidato da questa continua comune condivisione di umana inadeguatezza, che si trasforma in potenzialità di voler andare oltre.

La vivacità del sacerdozio, il tentativo di percorrere nuovi sentieri non stereotipati o previsti dai ‘cliché pastorali’, il sentire talmente forte la testimonianza del vangelo da scendere su piani e territori non convenzionali in cui sperimentarsi, non accontentandosi di lanciare esche presuntuose che attendano che i fratelli e le sorelle cadano nella rete della nostra sagrestia, è ciò che ho avuto modo di sperimentare nella vita di don Giuseppe, con il quale ho condiviso e continuo a condividere tratti importanti di storia.

La fedeltà al quotidiano tra tante distrazioni e tentazioni, la voglia di essere sempre autentici, la schiettezza ed essenzialità di chi preferisce la sostanza alla forma, sono altri tratti di un sacerdozio che oggi vogliamo celebrare nel suo 30° anniversario. Ed è ben giusto! Perché la grazia di Dio va celebrata! I suoi doni vanno gridati dai tetti, con tanta umiltà, sicuramente, ma impettiti e tronfi che il Signore della vita, nonostante la nostra povertà e fragilità, abbia scelto proprio noi.

Fedeltà a Dio ed alla sua Chiesa: mi piace sottolineare quest’ultimo carattere - tra i tanti - che stimo nella missione sacerdotale di don Giuseppe. Mai messo in questione l’amore per la sua e nostra Chiesa! Sempre alto il sentire un’appartenenza in cui, dagli amati genitori - oggi presenti a festeggiare con lui in Paradiso - che lo portarono al fonte battesimale, agli esempi sacerdotali e di vita cristiana che ha avuto nel suo cammino di formazione, è stato inserito e che continua ad amare riconoscendone le mancanze, ma provando con serietà e coscienza a ricucirne le ferite con una testimonianza bella e libera di vita realizzata.

Da qui il suo amore per i pastori ed i papi che hanno tenuto fermo il timone di una vecchia ‘arca di tutti’ come la Chiesa, tra le tempeste della secolarità: dall’avvertire come missione personale il “Non abbiate paura” di Giovanni Paolo II, all’essere “un semplice, umile lavoratore nella vigna del Signore” di Benedetto XVI al “puzzare di pecora” di Francesco, progetti che oggi don Giuseppe traduce nel suo essere parroco e con un ministero aperto alla ricerca nello studio, alla mediazione di esso con l’arte, la musica, la scrittura, lo sport, lo spettacolo…

Grazie a Portalecce per avermi concesso così di essere presente nel giorno del 30° anniversario sacerdotale di don Giuseppe, al quale continuo a sentirmi strettamente legato nella comunione sacerdotale, ma soprattutto a gradire la sua amicizia che mi porta necessariamente a chiamarlo fratello! Auguri… Pippi!

Stasera alle 18,30, in chiesa madre, a Monteroni, con la sua comunità e attorniato dall’effetto dei suoi familiari e degli amici, don Giuseppe presiederà la santa messa solenne nel trentesimo anniversario della sua ordinazione presbiterale

 

*Ministro provinciale Ofm del Salento

 

 

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