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“Oggi ringraziamo Dio perché tra Israele e Palestina c’è finalmente una tregua e alcuni ostaggi sono stati liberati. Preghiamo che lo siano al più presto tutti - pensiamo alle loro famiglie! -, che entrino a Gaza più aiuti umanitari e che si insista nel dialogo: è l’unica via, l’unica via per avere pace. Chi non vuole dialogare non vuole la pace”.

 

 

 

Le parole di Papa Francesco, all’Angelus di domenica scorsa, lette da mons. Paolo Braida, capo ufficio della Segreteria di Stato, dalla cappella di Casa Santa Marta a causa di una sindrome influenzale del Pontefice, hanno raggiunto la comunità cristiana di Gaza. Un ricordo continuo, quello del Papa, alimentato anche da “telefonate quotidiane” alla parrocchia della Sacra Famiglia, come ricorda Suor Nabila Saleh.

“In questi giorni di tregua - dichiara la religiosa che si trova nella parrocchia latina di Gaza con altri 700 sfollati - i nostri cristiani sono usciti, per la prima volta dallo scoppio della guerra, dalla parrocchia per tornare finalmente nelle loro abitazioni e verificarne lo stato. Purtroppo, tutti hanno avuto le case bombardate e distrutte. Anche per questo motivo - rivela - molti stanno pensando di emigrare. Questa guerra sta minando la loro volontà di restare a Gaza e sono già tanti coloro che hanno deciso di emigrare. L’Australia è una delle mete più ambite”. Una scelta che poggia sulla decisione, assunta recentemente dal Governo australiano, di approvare, tra il 7 ottobre e il 20 novembre, più di 800 visti per i palestinesi e oltre 1.700 per i cittadini israeliani. Si tratta di un visto turistico, rilasciato previo approfondito controllo di sicurezza, che consente l’ingresso temporaneo fino a 12 mesi. Analoga decisione l’Australia l’aveva assunta per 3.000 visti turistici a cittadini ucraini (tra il 23 febbraio e l’11 marzo 2022), dopo l’invasione russa e per 5.000 afghani (tra il 18 agosto e il 20 settembre 2021), dopo il ritiro degli Stati Uniti dal Paese e il ritorno al potere dei talebani. “Se la guerra non finirà subito - rimarca Suor Saleh - il rischio che Gaza resti senza la già piccola comunità cristiana (poco più di 1000 fedeli, ndr.) è molto concreto e sarebbe una grave perdita per tutta la Striscia”.

Ieri, 27 novembre, la tregua è entrata nel suo quarto, e probabilmente, ultimo giorno e, spiega Suor Saleh, “migliaia di gazawi tenteranno ancora di rientrare in casa anche per cercare di prendere oggetti e effetti personali, ma soprattutto per reperire cibo, acqua, gas, carburante”, dopo che da venerdì scorso circa 350 mezzi, con aiuti umanitari, sono entrati dal valico di Rafah nella Striscia. Numeri che, sostiene la suora, “non sono sufficienti a soddisfare i bisogni della popolazione stremata dalla guerra. Inoltre non a tutti sarà possibile andare a vedere perché - ricorda - ci sono dei quartieri cosiddetti ‘rossi’, controllati dai carri armati israeliani, che impediscono a chiunque l’accesso”.

In mezzo a tanta distruzione, aggiunge la religiosa, “ora è davvero difficile guardare al prossimo Natale. Non avremo luci e feste per la nascita di Gesù, ma lo celebreremo solo in chiesa con la messa” in linea con la richiesta dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese di Gerusalemme, datata 10 novembre, al clero e ai fedeli, di rinunciare a “tutte le attività e segni festivi non necessari e di concentrarsi maggiormente sul significato spirituale del Natale, ponendo attenzione ai nostri fratelli e sorelle colpiti da questa guerra e dalle sue conseguenze, e a elevare ferventi preghiere per una pace giusta e duratura per la nostra amata Terra Santa”. La comunità sfollata in parrocchia si appresta a vivere il tempo di Avvento con una sola preghiera: “il dono della pace e della giustizia”. “Celebreremo il Natale tutti insieme in parrocchia” afferma Suor Nabila consapevole che, “restando queste le condizioni”, non ci saranno né la visita del patriarca, né visti natalizi di Israele per i cristiani della Striscia, necessari per recarsi a Gerusalemme e Betlemme a pregare e a trovare i familiari. Alla comunità cristiana di Gaza non resterà che affidarsi alle notizie che arriveranno da una Betlemme deserta e priva di luci, dove sabato 2 dicembre, vigilia di Avvento, farà il suo ‘ingresso’, in un clima di silenzio, il Custode di Terra Santa, Fra Francesco Patton. Il 24 dicembre sarà la volta del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa che, come tradizione, celebrerà la messa di mezzanotte alla presenza dei rappresentanti diplomatici e, salvo cambiamenti, del presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen.

 

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