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L’emendamento al decreto per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in base al quale, nel riordino del sistema regionale, si prevede che i consultori possano avvalersi “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche della collaborazione di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel campo del sostegno alla maternità”, ha suscitato un gran polverone.

 

 

Accese e allarmate reazioni con toni anche violenti, ed è stato trascinato da subito nell’agone delle contrapposizioni partitiche. Eppure, si tratta di un emendamento in linea con la legge e rispondente alle doverose istanze di solidarietà sociale. L’unica spiegazione della scomposta reattività non può che essere quella di impedire l’attenzione sulla maternità nella fase della gravidanza, portando lo sguardo non solo verso la donna ma anche verso il bambino che vive e cresce nel suo grembo.

L’accusa di violare la legge sull’aborto è smentita dalla stessa legge 194/1978 che, nell’art. 2, elenca minuziosamente i compiti dei consultori: assistere la donna “contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurla all’interruzione della gravidanza”; l’assistenza deve essere effettuata “attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti sul territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per i quali risultano inadeguati i normali interventi” (gli speciali interventi possono consistere in interventi socio-sanitari, legali, economici, di qualsiasi tipo); fornire informazioni consistenti in notizie “sulle modalità idonee ad ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante” e  “sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale e sui servizi sociali sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio”.

Le informazioni possono riguardare anche l’aborto, ma non esclusivamente e, comunque, non implicano affatto un obbligo di autorizzarlo al di là delle possibili informazioni su di esso. In questo contesto è di grande rilevanza la facoltà dei consultori di “avvalersi per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. La forza della disposizione sta nella parola “anche”. Essa implica che le associazioni coinvolgibili sono quelle che aiutano la maternità sia prima che dopo la nascita. Non è difficile capire che si tratta chiaramente di una funzione alternativa a quella di permettere l’aborto e che ai consultori sono affidati compiti attivi in direzione della prosecuzione della gravidanza. Una conferma viene anche dall’art. 5 che a proposito del colloquio afferma che il consultorio ha il compito di “esaminare le possibili soluzioni ai problemi proposti”, aiutare la donna “a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”, “promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.

Pochi ricordano che dopo una prima bocciatura della proposta poi divenuta legge 194 (7 giugno 1977), la norma sui consultori fu trasferita dalla fine all’inizio del testo per dimostrarne lo scopo primario di prevenzione dell’aborto una volta avvenuto il concepimento. Una conferma viene dall’incipit dell’art. 2: “i consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975 n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza”. Ora, l’art. 1 della legge 405/1975 impone ai consultori “la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento”. A parte il tono neutrale dell’espressione “prodotto del concepimento”, viene fatto salvo l’obbligo di tutelare la salute del figlio insieme a quella della madre. La perdita della vita non è certo un modo di tutelare la salute.

Perché, allora, tanto subbuglio attorno a questo emendamento al punto che anche l’Ue è intervenuta per escludere dal Pnrr le misure italiane sull’aborto?

Perché nella legge 194 la logica abortista contamina anche le disposizioni favorevoli alla preferenza per la nascita, oscurando il bambino non nato e il suo diritto alla vita, riconosciuto anche dalla Corte costituzionale (sentenza 35/1997). Per questo, con il passare degli anni l’applicazione e l’interpretazione della legge si è adeguata sempre di più alla pretesa di affermare l’aborto come un diritto umano fondamentale (“Il diritto di aborto è stato riconosciuto come ricompreso nella sfera di autodeterminazione della donna”, Cass. n. 14979 del 2 aprile 2013), espropriando di conseguenza i consultori dei loro compiti a tutela della maternità durante la gravidanza. Di qui le polemiche e i tentativi di insabbiare l’emendamento in questione, screditandolo e ritenendolo a torto una minaccia alla 194.

Al di là di tutto, la questione irrinunciabile è riconoscere che quando si parla di maternità e gravidanza non si può fare a meno di considerare colui che abita il grembo della mamma: è uno di noi. Di qui un dovere pubblico di solidarietà molto importante: garantire alle donne la libertà di accogliere i figli, superando con loro gli ostacoli che una gravidanza difficile o non attesa può comportare.

La ricchissima e collaudata esperienza dei Centri di aiuto alla vita mostra che questa è la via per rendere le donne davvero libere e serene. A livello pubblico, chi meglio dei consultori familiari può adempiere il compito di rimuovere e superare le difficoltà che spingono a optare per l’aborto, coinvolgendo, eventualmente, realtà che per la loro competenza possono sostenere la maternità sia prima che dopo la nascita?

 

*presidente Movimento per la vita italiano

 

 

Forum Famiglie Puglia