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È interessante inquadrare il contesto religioso e civile della straordinaria attività pastorale del vescovo Luigi Pappacoda (nella prima foto lo stemma sulla facciata della cattedrale di Lecce) e quindi del suo impegno per la diocesi ed il riconoscimento pontificio del patronato di Sant’Oronzo.

 

 

 

La volontà della Chiesa locale, espressa esplicitamente dal presule unitamente alle componenti ecclesiastiche del territorio, di ottenere ufficialmente il protettorato civico del primo presule leccese si inserisce nelle dinamiche postridentine, protese ad una sempre maggiore latinizzazione, lo sviluppo della tutela della Chiesa, e nel Sud del Regno napoletano, ed il rafforzamento della figura del vescovo sul territorio.

Lo specifico ambiente socioculturale della città di Lecce nel Cinque-Seicento costituiva nella regione un importante riferimento da parte del governo regio, radicato nel tradizionale contesto feudale.

In ambito religioso, emergeva, in particolare, oltre alla figura del vescovo ed alla propositiva presenza del clero, con la rilevante attività del Capitolo della cattedrale, lo zelo dei numerosi religiosi, notevolmente incisivo in campo spirituale ed artistico, come testimonia la costruzione di splendide chiese e conventi.

Caratterizzato dalle difficili disquisizioni agiografiche riguardanti la precisa identificazione ed il relativo periodo storico, si registrava, invece, un forte indebolimento del patronato civico dei Quaranta Martiri di Sebaste e poi di Santa Venera ed in particolare di Sant’Irene.

Anche perché il riferimento ai santi protettori non esprimeva solamente una relazione devozionale rapportata alla loro origine orientale o occidentale ed al loro esempio ispiratore di santità, ma influiva in qualche modo sulla stessa vita religiosa popolare.

Con conseguenze sulla maggiore o minore presenza nella vita civile da parte degli aristocratici e dei vari gruppi sociali che ne sostenevano e culto e devozioni.

Fu il periodo della scelta di nuovi compatroni, come Sant’Ignazio di Loyola, San Francesco Saverio, Sant’Antonio di Padova, con il loro nome sempre più dato ai neonati.

Il vescovo Pappacoda, a sua volta, fu considerato un grande vescovo, del quale, pur con l’enfasi eccessiva del tempo dovuta alla penna di Nicola Fatalò (Serie dei Vescovi di Lecce…), fu scritto: “La fama delle sue virtù lo rese ammirabile in tutta Europa, onde ne fu tenuto in somma stima a veneratione de’ Principi, de Sovrani grandi, della medesima Corte Romana, sino ad avvalersi la Santa Sede delle di lui consulte e pareri specialmente in pareri spettantino il S. Ufficio”.

Nei suoi trentunanni di attività a Lecce, attuò, sempre secondo il Fatalò, “ottimo governo e lumina di dottrina, di prudenza, di zelo, di pietà, risplendente di continuo sotto l’emisfero celeste”.

Per alcuni aspetti diminuiva già una qualche forma di legame del potere civile rispetto al potere ecclesiastico, ma il presule contribuì a dare ulteriore prestigio alla dimensione religiosa cittadina.

 

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