La festa patronale leccese dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato continua ad esprimere la tradizionale e tipica manifestazione del vissuto popolare, rivelando valori della vita civile, sociale e spirituale della comunità ecclesiale salentina.
È, pertanto, interessante ricercare, nel contesto storico dell’ambiente culturale e dell’epoca in cui è sorta, le origini dell’evento, ormai tanto radicato nel comune sentire della gente.
“A si gran benefici et honori del suo santo pastore et avvocato grata la nobiltà e il popolo di Lecce l’anno passato 1656 a 25 e 26 agosto fece due nobilissime processioni accompagnate anche dalle confraternite regolari capitolo e clero tutto della città portando per la città quasi tutta tre statue di S. Giusto di S. Oronzo e di S. Fortunato tutti con torchi accesi tramezzati da nove nobilissimi cori di musici che andavan cantando…”: è l’importante testimonianza sulla prima festa in onore dei santi patroni leccesi, attestata dall’allora arcidiacono del Capitolo della cattedrale Giovan Camillo Palma.
Un personaggio, dal linguaggio molto solenne e ridondante, che era principe dell’Accademia dei Trasformati e che, nel Libro rosso di Lecce (Lecce 1657-60, foll. 962-87), ci ha lasciato un’autorevole documentazione sulla prima celebrazione della solennità (cfr. PAONE M. (a cura di), Contributi alla storia della Chiesa di Lecce, Galatina, 1981).
Egli attesta che il corteo per esternare con la massima magnificenza la devozione ai santi si svolse con grande splendore e con la partecipazione istituzionale delle maggiori autorità civili, a cominciare dal sindaco: “Procedeva sopra nobilissimo cavallo il signor sindico che menava seco quattro staffieri della città due sergenti quattro caporali della città tutti con torce ardenti fuorché esso signor sindico che portava uno stendardo nel quale era dipinta l’immagine di S. Orontio”.
Così come erano ufficialmente presenti gli altri importanti esponenti istituzionali: “… per fine venivano i signori governatore regio Francesco Morelli e giudice della città Pietro Angelo Martino”.
Emerge, in modo molto evidente, soprattutto lo spirito di partecipazione ed entusiasmo che caratterizzavano la devozione del vissuto popolare, profondamento motivato da vivissima riconoscenza per lo scampato pericolo dall’epidemia.
La collettività intervenne da protagonista, esternando valori profondi che caratterizzano la vita: “andava appresso una schiera innumerabil di popolo di tutta la provincia tratto da devotione e da curiosità e soprafatto dalla pietà e magnificenza dei leccesi”, annota ancora l’autore.
Evidentemente, l’evento non fu una semplice manifestazione folkloristica: la processione e la festa costituirono una sentita e maestosa espressione di grata venerazione e intensa religiosità.