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Ha già spento novantuno candeline e si conserva sempre gagliardo come un leone di Giuda, Padre Tarcisio Stramare.

 

 

 

Da oggi e fino al 19 marzo - si inizia con lui - Portalecce condurrà i lettori alla conoscenza dello sposo di Maria con l’aiuto di insigni studiosi.

Il primo è Padre Stramare. Sacerdote dal 1952, fine biblista passato per le cattedre della Lateranense e dell’Urbaniana oltre che consultore per la Congregazione delle cause dei santi, è ormai riconosciuto come uno dei massimi studiosi, a livello internazionale, di San Giuseppe. Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo.

Padre Tarcisio, ci spieghi un po’: com’è nato il suo amore per San Giuseppe?  

Sarebbe abbastanza strano se non lo amassi dato che la famiglia religiosa cui appartengo, gli Oblati di San Giuseppe di Asti, è appunto dedicata al santo falegname. Comunque, la faccio breve. Fin da quando iniziai gli studi sulle Scritture, ebbi modo di sentire mille volte il solito ritornello: “Giuseppe è una figura marginale… di Giuseppe sappiamo poco o nulla… non stiamo a parlare troppo di Giuseppe…” e altre facezie di questo genere. Poi un giorno, si era nei primi anni ʼ60, venni chiamato a compilare qualche voce della Bibliotheca Sanctorum. Tra le altre, anche quella su San Giuseppe. Mi misi a studiare, a ricercare, a scavare sulla sua figura. Si aprì un universo meraviglioso, stupendo, inesplorato. E così ci ho dedicato la vita.

Lei ha pubblicato pregevoli libri su San Giuseppe e fondato il Movimento Giuseppino. Crede che nel cattolicesimo odierno si sia presa finalmente consapevolezza dell’assoluta importanza del padre putativo di Cristo?

Niente affatto. Lasciando per un momento da parte l’ambito della devozione popolare, dove l’icona di San Giuseppe giganteggia, ma che resta un campo ben preciso e delimitato, il quadro della situazione è presto fatto. Nelle facoltà teologiche e nelle università pontificie praticamente non esiste un corso di josefologia. Nessuno conosce il magistero pontificio dedicato al tema. Non dico quello dei papi del lontano passato, come Pio IX o Leone XIII, ma nemmeno quello recente di Giovanni Paolo II, espresso nella Redemptoris Custos. Un testo firmato appena nel 1989 e che, almeno a memoria d’uomo, dovrebbe pur essere ricordato. Ben pochi poi sono coloro che hanno voglia di esaminare la presenza del santo nella letteratura cristiana antica, negli scritti dei padri e dei dottori ecclesiastici o la storia del suo culto liturgico. Di solito, ci si limita a mettere soltanto in luce le sue qualità morali - la fedeltà, l’obbedienza al volere divino, il silenzio - e fermi lì.

E invece occorrerebbe molto di più riflettere sulla teologia josefina…

Guardi, quando parliamo di San Giuseppe, è proprio l’impianto teologico che viene dimenticato. I padri però avevano ben chiaro il ruolo svolto dal santo nel mistero della redenzione. Crisostomo, ad esempio, lo definisce Minister salutis, ministro di salvezza. Ovviamente, per “salvezza” si intende quella offerta da Cristo agli uomini. Ebbene, a quest’opera di Gesù, a tale disegno redentivo, gli uomini possono collaborare come servi del piano di Dio. Maria vi partecipò in modo assoluto e come nessun’altra creatura. Tuttavia, accanto a lei, ecco che Giuseppe vi concorse in maniera del tutto speciale, facendo da padre al Salvatore. Ora, anche noi possiamo servire Gesù, non direttamente bensì attraverso la grande famiglia della Chiesa di cui siamo parte. Ma Giuseppe lo ha servito direttamente. Lui, come la Vergine, ha potuto toccare con mano l’umanità del Figlio di Dio. E poi, com’è stato custode di Gesù in terra, così oggi continua la sua missione paterna di protettore della Chiesa.

Padre Tarcisio, Portalecce farà del suo meglio, nel corso di questo mese, per far conoscere di più San Giuseppe!        

Sarebbe un’opera meritoria. È infatti un peccato che stupendi tesori di cultura e spiritualità, come quelli legati al nostro grande patrono, restino preclusi ai fedeli. Dopo tutto, a San Giuseppe spetta un culto di “protodulia”, è lui il primo dei santi.  

 

 

 

 



 

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