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Un incontro per spiegare novità ed implicazioni nella pastorale liturgica della nuova edizione del Messale Romano, che in tutte le chiese del Lazio verrà utilizzato per le celebrazioni a partire dal prossimo 29 novembre, prima domenica d’Avvento.

 

 

È quello che si è svolto ieri mattina nella Basilica di San Giovanni in Laterano tra i sacerdoti e i diaconi della diocesi di Roma (presenti anche alcuni preti della diocesi di Lecce, studenti nelle università pontificie) e mons. Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta e presidente della Commissione liturgica della Conferenza Episcopale Italiana. “È stato uno degli incontri che stiamo organizzando in tutte le diocesi per permettere a tutti i sacerdoti di accogliere il testo non semplicemente come un nuovo libro da utilizzare meccanicamente, ma come un’occasione preziosa per rigenerare il nostro stile celebrativo”, afferma Maniago.

 

Lei ci tiene a precisare che però non si tratta di un nuovo Messale…

Certo, anche se comunemente parlando si utilizza l’espressione nuovo Messale. Si tratta - ed il Santo Padre quando gli abbiamo presentato la prima copia lo ha ribadito - di una nuova edizione dell’unico Messale testimone della riforma del Concilio Vaticano II, che deve continuare a progredire e a concretizzarsi sempre di più nelle nostre comunità.

 

Quali solo le novità?

Le novità, se così si possono chiamare, sono nella revisione generale di tutta la traduzione. Quindi, una prima novità verrà percepita non solo dai sacerdoti, ma anche dall’assemblea, che ascolterà testi con un linguaggio rinnovato: espressioni che sono più aderenti al latino originario. Poi ci sono novità dovute a dei cambiamenti e in questo caso saranno anche i fedeli ad essere coinvolti. Per esempio, l’inno del Gloria che viene proclamato nelle domeniche, nelle feste e nelle solennità, modifica il testo d’esordio: non più pace in Terra agli uomini di buona volontà ma, aderendo in maniera più fedele al testo originario, sarà pace in Terra agli uomini amati dal Signore. Ma forse il cambiamento più evidente riguarda il Padre Nostro, la preghiera per eccellenza del popolo cristiano. All’interno della celebrazione eucaristica, verrà proposta con due modifiche: come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori e non abbandonarci alla tentazione che sostituisce non indurci in tentazione. In più, da sottolineare l’arricchimento con quattro nuovi prefazi per il ricordo dei Pastori e i Dottori della Chiesa e l’introduzione, per il celebrante, del canto per alcune parti della liturgia.

 

Ci saranno difficoltà per abituarsi a questi cambiamenti?

Credo e spero di no: non sono cambiamenti così stravolgenti. Certo, per i sacerdoti sarà un impegno, perché l’abitudine ha portato ad una assimilazione quasi mnemonica dei testi. Adesso, ad ognuno di loro, verrà chiesta massima concentrazione per poter leggere il testo in modo corretto. Sono convinto che sarà un arricchimento che farà piacere. Per il popolo di Dio, invece, si è avuta l’attenzione a cambiare minimamente gli interventi richiesti all’assemblea. Dovremo soprattutto abituarci alla nuova versione del Padre Nostro, che è stato depurato da un’ambiguità che poteva comunicare un volto non corretto di Dio, come ha sottolineato più volte Papa Francesco.

 

Foto di don Emanuele Tramacere

 

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