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“La Chiesa nella città non è un fortino distante dalla strada, ma è una presenza prossima, oserei dire materna, che si unisce al cammino, a volte tanto faticoso per molti in questi tempi di crisi e di paura”.

 

 

 

In queste parole, pronunciate nel saluto rivolto alla città di Bologna subito dopo la sua nomina ad arcivescovo, sta la cifra del “sentire ecclesiale” che appartiene al card. Matteo Maria Zuppi, nominato ieri dal Papa nuovo presidente della Cei, durante la 76ma Assemblea generale dei vescovi italiani, in corso a Roma fino al 27 maggio.

“Io cerco di trovarne uno che voglia fare un bel cambiamento. Preferisco che sia un cardinale, che sia autorevole”, aveva detto Papa Francesco alcune settimane fa tracciando una sorta di identikit della nuova guida dell’episcopato italiano, pur chiedendo ai vescovi di sentirsi liberi nell’indicazione della terna per il successore del card. Gualtiero Bassetti. “Il pericolo è l’indifferenza, il pensarsi isole, il guardare la realtà da spettatori, magari raffinati critici e attenti giudiconi”, le parole di Zuppi perfettamente in linea con la “Chiesa in uscita” auspicata da Francesco e delineata in particolare in occasione del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015:

“Chiudersi, per proteggersi o per banale egoismo, fa male a tutti, alla Chiesa, alle singole persone e anche a questa casa comune che è la città!  Chiudendoci nelle case o nei palazzi o in noi stessi ci ammaliamo! E camminare assieme è una straordinaria e appassionante avventura!”. Poi le parole dedicate specificamente al rapporto tra Chiesa e città, che da Bologna possono essere “esportate” anche in chiave nazionale: “Nel rispetto dei ruoli, con lo specifico dell’essere discepolo di Gesù, e nel comune impegno alla solidarietà, tra istituzioni e tra persone, tra religioni, tra sensibilità diverse, ecco con tutta la Chiesa di Bologna collaboreremo con le autorità e con quanti hanno a cuore questa piazza grande che è la città intera”. In quell’occasione, il neonominato presidente della Cei aveva proposto di sostituire il termine “stranieri” con “nuovi italiani”. Sono “i compagni di classe che crescono con noi”, aveva ammonito: “Cominciamo da loro, dai nuovi italiani, da chi non ha casa, da chi è vittima della tortura della solitudine, da chi è smarrito nel mondo della disoccupazione, specialmente i più giovani, da chi cerca futuro e protezione perché scappa dalla guerra”.

E proprio al dramma della guerra, o meglio al suo contrario, sono dedicati gli interventi più recenti di Zuppi, nel deflagrare del conflitto in Ucraina. “Il cristiano deve diventare un artigiano di pace”, ha detto ad esempio il 22 maggio scorso, nella cattedrale di San Pietro gremita di folla per il pellegrinaggio annuale in città della Madonna di San Luca. “Dobbiamo chiedere a Maria il dono della pace e che ci insegni a vivere da ‘Fratelli tutti’, perché lo siamo davvero”, ha scandito presiedendo la veglia di preghiera. In un’intervista sulla visita dell’Immagine della Beata Vergine di San Luca alla città e all’arcidiocesi di Bologna, in programma dal 21 al 29 maggio, Zuppi è tornato ancora una volta sulla tragedia della guerra e sull’interpretazione che ne dà il Santo Padre.

“Esiste - sostiene Zuppi - questo demone imprevedibile della guerra che contagia e spaventa tutti. Abbiamo capito quell’espressione di Papa Francesco della guerra mondiale a pezzi. Pensavamo, in fondo, che questi conflitti fossero soltanto problemi locali che non ci riguardavano, mentre la guerra in Ucraina ci fa capire che sempre, e questa in particolare, è un pezzo importantissimo del nostro futuro”.

E parla di pace anche il messaggio inviato alla comunità islamica a conclusione del Ramadan, con l’invito a “continuare a pregare per la pace, per disarmare i nostri cuori e le nostre mani, per avere nel cuore e sulla bocca quel ramoscello d’ulivo che dopo il diluvio della guerra rappresenta la pace tra le persone e i popoli. In un’ora del mondo segnata da grande dolore abbiamo bisogno di stringere più forti legami di amicizia, come segno tangibile della nostra volontà di pace. Proprio mentre ci sembrava di uscire da una prova terribile, quella della pandemia, eccoci di fronte a una guerra sanguinosa, che bussa alle nostre porte e fa appello alle nostre coscienze, così come a quelle dei responsabili della politica. Dobbiamo unirci per chiedere con forza la cessazione dei combattimenti tra Russia e Ucraina e una soluzione pacifica delle controversie, nella ricerca del bene comune”.

Torna in mente la memorabile omelia presieduta dal card. Zuppi per i funerali dell’amico David Sassoli, durante la quale il 14 gennaio scorso aveva attualizzato il messaggio delle beatitudini: “Beati sono gli operatori di pace, gli artigiani, cioè che non rinunciano a ‘fare la pace’ iniziando dai piccoli e possibili gesti di cura, sporcando le mani con la vita, con le contraddizioni del prossimo, con la fatica a stringere quella del nemico che se lo fai si trasformerà in fratello”.

 

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