0
0
0
s2sdefault

Marcello Buttazzo è un poeta. Suona strano questo lavoro in un mondo che fa tanto rumore. Un mestiere che celebra l’intimità di un sentire ambivalente, nel quale ci si può sentire affini ma anche tanto tanto distanti. Lontani da una sensibilità che al giorno d’oggi sembra quasi surreale. E invece no.

 

 

 

I poeti sono reali, Marcello è reale e ha concesso un’intervista a Portalecce a proposito della sua ultima pubblicazione, “Il cielo degli azzurri destini”, presentata a Lequile lo scorso mese di ottobre.

Marcello Buttazzo, qual è lo stato attuale della poesia?

Dopo la grande e irripetibile stagione del Novecento letterario, la poesia italiana contemporanea vive il suo tempo di piana divulgazione. Poeti e poetesse, come Giuseppe Conte, Milo De Angelis, Patrizia Valduga, Chandra Livia Candiani, Mariangela Gualtieri, Vittorino Curci, mantengono alta e potente l’evocazione della parola. Anche la poesia salentina conosce un fermento di nobili intenti.

 

Cos'è per te la poesia?

Per me la poesia è, per l’innanzi, un intimo scandaglio interiore, con il proposito manifesto di cercare di coniugare i propri vissuti con il respiro ampio del mondo. La poesia è lo sguardo aperto e libero sulle cose della vita, è impeto civile, passione amorosa, la clessidra che misura gli istanti del tempo.

 

Come nasce la tua nuova raccolta di poesie? Ti andrebbe di raccontarci qualcosa sulla tua neonata pubblicazione?

“Il cielo degli azzurri destini” è una silloge un po’ più intimistica e familiare delle precedenti. È dedicata a mamma Antonietta, 87enne guida morale del mio cammino. Ci sono versi redatti per mia madre e per mio padre, scomparso nel marzo 1987. Non mancano, ovviamente, i riferimenti alla musa (un po’ reale, un po’ immaginifica), alla natura virente, al tempo che irreversibilmente corre.

 

 

Foto di Vincenzo Caricato

 

Forum Famiglie Puglia