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Quando si parla di tratta viene spontaneo immaginare le navi negriere che nei secoli bui trasportavano esseri umani da una riva all’altra dell’oceano.

 

 

 

In realtà i trafficanti di innocenti costituiscono una piaga talmente attuale da convivere con la nostra quotidianità individuale e collettiva. I mendicanti costretti agli angoli delle strade dalle organizzazioni criminali che sfruttano l’accattonaggio, i lavoratori in nero privati nei cantieri e nei campi agricoli dei loro più basilari diritti, le nostre sorelle asservite alla prostituzione coatta rappresentano le facce visibili accanto a noi del più atroce crimine che si possa commettere contro l’umanità: negare la dignità e la sacralità della vita.

Per questo come credenti e cittadini del mondo siamo chiamati a camminare con le più indifese delle creature: le vittime della tratta fenomeno internazionale che riguarda tutti i Paesi del mondo e cioè quelli di provenienza, transito e destinazione dei flussi.

Le nuove schiavitù deturpano il volto comunitario di un’epoca nella quale tutto sembra essere in vendita. Persino sui social è stato scoperto un traffico di organi che dai paesi poveri dell’Asia trovavano “acquirenti” disposti ad approfittarsi della disperazione di coloro che altro non ritengono di poter fare se non mettere all’incanto la propria salute. Sulle strade vicine alle nostre case e ai nostri luoghi di lavoro migliaia di fragili (uomini, donne e persone giovanissime) diventano nell’indifferenza generale i crocefissi del terzo millennio. La contemporaneità che amiamo descrivere come il trionfo della libertà in realtà è macchiata del sangue di quanti pagano il prezzo elevato della perdita di compassione verso gli assoggettati. Per generazioni è stata posta enfasi sulla necessità di una liberazione in ciascun ambito della società: dal disagio mentale alla situazione di schiavitù sul lavoro.

Nessuno, tranne Papa Francesco, si intesta la battaglia per spezzare le catene che impediscono a quelle che don Oreste Benzi chiamava “sorelline” di uscire da un tunnel di violenza e privazione.

Non sarà che fa comodo a molti mantenere alcune zone grigie come il mercimonio coatto e il caporalato affinché servano ipocritamente da camera di compensazione tra i vizi privati e le pubbliche virtù? Non sarà che liberare le donne crocifisse non diventa mai un punto centrale all’ordine del giorno perché non comporta un tornaconto di immagine e di consenso elettorale? Il “vizio schifoso” (come è stato definito dal Santo Padre nella prefazione al mio libro Donne Crocifisse) non sarà forse funzionale a tenere in piedi l’apparenza di una normalità borghese che dietro i formalismi e l’atteggiamento conformistico di disprezzo verso le vittime della tratta, svela il pensiero recondito che infondo non sia un problema che ci sfiori? Per la verità quelle ragazze seminude che vediamo a pochi passi da noi illuminate dai fari di auto che si fermano solo per soppesare con gli occhi e acquistare la “merce” saranno i giudici che il giorno nel quale saremo valutati per il nostro operato potranno stabilire il nostro grado di civiltà e carità destinandoci alla salvezza o laddove c’è “pianto e stridore di denti”.

“Ogni giorno, a casa, per strada, a lavoro, in vacanza, abbiamo la possibilità di scorgere del bene e di riconoscere le gemme preziose della vita distinguendole dalle cianfrusaglie. Non sprechiamo tempo e libertà per cose da niente invece di incontrare Dio negli altri”, insegna il Pontefice che non ha mai smesso di interessarsi alle ragazze accolte nelle case rifugio della Comunità Papa Giovanni XXIII per le quali testimonia un magistero della tenerezza e della condivisione in grado di scrivere pagine di Vangelo quotidiano.

 

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