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In Italia, negli anni ’50 e ‘60, si costruivano le periferie per accogliere i poveri del dopoguerra e, al nord, “i terroni” cercavano lavoro per motivi economici.

 

 

Adesso, in periferia, si trovano spesso gli extracomunitari, spesso persone sfruttate o affamate e provate dalle emergenze dei bisogni di tutti i giorni: la povertà, la ricerca del lavoro, la faticosa integrazione. Si vive un continuo dualismo: da una parte le case sfitte dall’altra i senza-tetto per strada o sotto i ponti, i cani nel passeggino e la crisi demografica, bambini obesi e bimbi con la pancia gonfia di vuoto. Chi può tutto e anche più di tutto e chi fa fatica ad avere poco più del niente.

Ma la periferia non è terra di degrado, ci sono iniziative e realtà che cercano di creare comunità e cambiare il passo delle cose. È sbagliato pensare a qualsiasi periferia come centro di violenza, ma sarebbe sensato parlare di una descrizione della periferia come tale, in quanto la percezione costruita attorno a essa è quella. In pratica, nel corso degli anni, gli abbiamo cucito sopra un vestito così stretto che ora si fa fatica a toglierlo. E, di base, la colpa è anche di un mondo disinteressato a sostituire queste percezioni, abbandonando ogni periferia al concetto di degrado quando gli fa comodo per fare man bassa di consensi elettorali.  

La periferia è anche il margine, l’escluso, il diverso, quello lontano, o non compreso. Occorre in questo contesto, ricordare la bellissima lettera di don Milani alla sua professoressa: “Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che respingete. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate. Due anni fa, in prima magistrale, lei mi intimidiva. Del resto, la timidezza ha accompagnato tutta la mia vita. Da ragazzo non alzavo gli occhi da terra. Strisciavo alle pareti per non esser visto. Sul principio pensavo che fosse una malattia mia o al massimo della mia famiglia. La mamma è di quelle che si intimidiscono davanti a un modulo di telegramma. Il babbo osserva e ascolta, ma non parla”.  Il contesto è cambiato, ma le dinamiche espulsive sono identiche.

 

Forum Famiglie Puglia